NUOVI TALENTI DEL BALLET FLAMENCO @Auditorium Parco della Musica, Festival di Danza Spagnola e Flamenco

Nella cornice del Festival di Danza Spagnola e Flamenco all’Auditorio Parco della Musica, viene presentata una serata speciale, dedicata ai nuovi talenti emergenti della Danza Spagnola e del Flamenco.

Apre lo spettacolo la danzatrice ispano-danese Selene Muñoz, che insieme al musicista Stephan Jarl presenta “Eye of night”. Una coreografia estremamente suggestiva, che rievoca un paesaggio lunare, dove si svolge questo originale pas de deux tra la ballerina e il musicista. Il costume di scena di Selene, con una lunga fila di campanelli che le percorre la colonna vertebrale fino alla testa, ricorda qualche animale preistorico, un serpente a sonagli, o un dinosauro. Il tamburo a cornice che porta in scena il musicista è a tratti uno strumento, poi un’arma per percuotere con il suono la danzatrice, e ancora un oggetto per danzare che prende tra le braccia Selene, in analogia con alcune danze sufi, ma sempre con una componente fortemente moderna. 

Mentre il primo pezzo ha un carattere più rituale, drammatico, il secondo, “Shake” ha un sapore più pop e ironico. Selene Muñoz e Stephan Jarl giocano sul ritmo intessuto con palmas, cajon, zapateado e voci interagendo tra di loro e compiendo vincenti “invasioni di campo”, come quando la danzatrice modifica il suono del cajon spostando il piede lungo la cassa dello strumento. 

Altro protagonista dello spettacolo è Cristian Martín, che presenta due pezzi, “Caña” e “Ser (redux)”. Mirabile la preparazione tecnica di questo ballerino, grande pulizia di linee, un piacere per gli occhi vederlo volteggiare e saltare sulla scena. La formazione classica è accostata ad un forte gusto contemporaneo tramite la scelta delle luci (nel secondo pezzo viene usata una luce stroboscopica) e del ritmo del movimento. Un esempio di gioco con la tradizione è il movimento spezzato delle braccia che Cristian fa seguendo la cadenza sillabata del “pasillo” de la Caña, un passaggio tipico del cante per questo palo flamenco che viene reso attraverso un movimento segmentato tipico invece di balli contemporanei come il dropping o l’hip hop.

Interessante il “racconto coreografico” creato da Albert Hernandez e Irene Tena, il primo, “Amor mojado en sal”, narra efficacemente una relazione di amore e tirannia tra un uomo e il mare, rappresentato dalla danzatrice dentro la sua nera bata de cola. Molto suggestivo il primo quadro in cui i due si amalgamano in un’unica creatura spuntando da sotto la lunga gonna stesa a terra e anche l'uso di una grossa fune nella danza. La narrazione procede per quadri, anche se le transizioni non sono sempre molto fluide, come se la coreografia fosse stata pensata per essere ricostruita come in un montaggio cinematografico, e i passaggi narrativi sono separati da buio e cambio di luci, che a volte risulta un po’ forzato. Delicato e a tratti grottesco il secondo pezzo, “Antaño mio”, che rievoca la Spagna del XX secolo. Domina la scena la frustrazione e il tormento della danzatrice, che incarna i dolori e le incomprensioni silenti di una donna degli anni ’30 o ’40. Non convince però la forzatura del tema del machismo nel pezzo, laddove la danza tra i ballerini sulla copla di Pepe Pinto rievoca piuttosto un’atmosfera retrò e piacevole, e il dolore di lei non trova orizzonte di significato. I momenti di danza sembrano sconnessi con gli improvvisi attacchi di “iperventilazione” quando è seduta sulla sedia, immersa nei volant del suo voluminoso vestito. 

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