Mediterranea è nato nel 1993 per il Balletto di Toscana, e nel vederlo in scena ora all’Olimpico si comprende come possa continuare ad aver tanto successo dopo 25 anni. Questo spettacolo di Bigonzetti ha come tema la comunione e le differenze tra le culture del Mare Nostrum, ma non è narrativo, se non è in minima parte. La prima cosa importante che viene da dire su Mediterranea è che sia un corpo di danze dal carattere meravigliosamente musicale. Nella bellezza delle coreografie questo è ciò che cattura senza scampo lo spettatore, i movimenti sono nati e concepiti con una grande sensibilità per le suggestioni della musica, di cui i corpi dei ballerini hanno attuato una preziosa e magica calligrafia.
Il segno “di terra” di Mediterranea lo rende non solo carico di sensualità, marcando la possenza fisica e il gusto per le pose scultoree, per la flessuosità dei corpi, di cui il bacino è molto libero sia per i ballerini che per le ballerine, ma la carica vitale delle danze, a tratti estatica, ne fa risplendere una tensione anche spirituale, soprattutto nelle parti corali. Una spiritualità dunque quasi tribale: non tensione individuale al trascendente, ma una carica vitale che accende e lega i corpi gli uni agli altri attraverso la danza. Questo carattere sensuale-spirituale emerge nelle musiche più diverse, da Mozart a Ligeti, e poi ancora nel flamenco, attraverso la voce di Carmen Linares che canta una Petenera, poi la musica turca di Omar Faruk Tekbilek, e persino un Drum Solo arabo.
Filo conduttore dello spettacolo sono i due protagonisti maschili, Umberto Desantis personifica l’Uomo di Terra e Francesco Moro l’Uomo di Mare. I due danzatori si incontrano e si scontrano. La loro presenza è alternata da pas de deux (Valentina Chiulli, Marco Fagioli; Andrea Caleffi e Davide Petroniro) e dall’ensemble. I toni sono sempre diversi, ma si situano in un continuum di lentezza, movimenti bruschi, tutto in una tensione viva continua.
Fondamentale è l’uso sapiente delle luci, che rende profondità e drammaticità dell’opera. Lo spettacolo si apre se si chiude con il suono della pioggia, ciò non solo rimanda alla natura vibrante e capricciosa delle terre del Mediterraneo, ma inavvertitamente, con l’aiuto della scenografia vuota, ci evoca un enorme spazio all’aperto, e allora le danze assumono il segno come di una sagra profana e di un inno alla forza vitale. Lo spettacolo si chiude significativamente in un abbraccio: dal nucleo formato da due danzatori, due a due tutti i ballerini si serrano stringendosi con le braccia, strato dopo strato, come in una gigantesca rosa che lega tutte le culture.