LO SCHIACCIANOCI @Teatro Vascello: Ma, alla fine… Chi era Fritz?

Il Teatro Vascello ospita la rappresentazione natalizia per eccellenza: Lo Schiaccianoci, ideato e coreografato da Massimiliano Volpini con il corpo di ballo del Balletto di Roma, in scena dal 18 al 31 dicembre (ebbene si! Per gli indecisi di Capodanno il teatro offre una validissima opzione!)

Come già avvenuto in passato, (ricordiamo la rielaborazione a cura di Andrè De La Roche, che ho avuto la fortuna di vedere nel 2014), parliamo di una rilettura da parte del coreografo che, pur lasciando intatte le meravigliose e imperiture musiche di Pëtr Il'ič ÄŒajkovskij, colloca il racconto ottocentesco di E.T.A. Hoffmann in un contesto urbano, uno spazio separato da un muro, di quelli che separano e mettono in forte conflitto persone in realtà accomunate da un cuore e un’anima esattamente identiche, a ricordarci che quei muri, anche invisibili, ci dividono ancora.

“A Natale siamo tutti più buoni” è una buona formula magica per nascondersi dietro un dito, per accumulare polvere sotto il tappeto dell’indifferenza e il coreografo non è caduto nel tranello del mood cheese delle feste, coinvolgendo anche noi in questo suo pensiero.

Ma veniamo allo spettacolo, che a mio avviso è stato caratterizzato da un gap emotivo e comunicativo tra il primo e il secondo atto.

Si apre il sipario: le note dell’Ouverture in miniatura hanno come inevitabile effetto collaterale quello di pervadere la schiena di brividi e d’increspare le labbra in un sorriso: ormai siamo tutti nella palla di vetro, dentro la scena. Uno dei danzatori si aggira furtivo, il suo antagonista si fa spazio in platea e sbucando alle nostre spalle prende il suo posto sul palco. Tutto molto suggestivo, ma al risveglio dei ragazzi senza casa non coincide quello della nostra attenzione. Devo dire che la forte impostazione classica del corpo di ballo, mentre da un lato ci ammalia con virtuosismi e perfezione tecnica, dall’altro non ci porta abbastanza nei bassifondi, non con lo stomaco almeno. Una tipica difficoltà di noi danzatori: ci è difficile essere “brutti, ma esserlo avrebbe reso maggiore giustizia alla figura dei ragazzi che vivono in una periferia, senza agi e comfort, ed è stato un deterrente alla libera veicolazione del messaggio di disagio che forse il coreografo voleva passarci. Avrebbero dovuto sporcare non solo la scenografia e i costumi (il concetto di rifiuto è stato abilmente e artisticamente affrontato anche in questi due ambiti), ma anche le linee e i movimenti, indurire i lineamenti e appannare i sorrisi alla Giselle. Invisibili e ribelli avrebbero potuto e dovuto sradicare il nostro senso dell’ordine e mettere noi a disagio, invece è stato un primo atto leggermente sottotono, concluso con una battaglia dei topi che per essere un “cruento scontro di strada” aveva la violenza di un muffin ai frutti di bosco! Delizioso e dinamico il Valzer dei fiocchi di neve, un ponte verso il colpo di scena del secondo atto.

La flebile demarcazione dei personaggi ci porta a dibattere, durante la pausa, su chi fosse Fritz e sui strani casi di omonimia della brochure: “ma è lui? Forse è l’altro… Però quello che la difende?” 

I dubbi sono presto dissipati dal buio in sala e dall’apertura del sipario: benvenuti, signore e signori… Siamo dall’altra parte del muro! The dark side of the wall, per usare una crasi floydiana.

Il secondo atto mette a nudo la versatilità del corpo di ballo, la freschezza e la geniale ironia del coreografo: finalmente viene fuori la personalità dei giovanissimi danzatori, che si divertono e ci contagiano. 

Una particolare menzione alla Danza Araba di Cecilia Borghese, ammaliante e fluida, che non avrebbe per nulla sfigurato tra i numeri di punta del Cirque du Soleil, perfetta da ogni punto di vista.

La classica sequenza delle danze del secondo atto sono state tutte davvero molto gradevoli e accattivanti.

I costumi di Erika Carretta hanno valorizzato il nuovo volto del corpo di ballo, teso al cambiamento, all’esplorazione di sé e del mondo, al lancio verso nuove avventure. Un esempio da seguire senz’altro: si va e si torna, ma aprire la mente e gli occhi ci cambia in meglio, sempre e inevitabilmente!

Consiglio di andare a vedere questo spettacolo perché è forse il modo più leggero ma consapevole di vivere queste festività.

Buon Natale e mi raccomando: siate tutti più consapevoli, openminded e felici, non buoni! 

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