La Sagra della primavera di Virgilio Sienei al Teatro Argentina di Roma

Virgilio Sieni, coreografo internazionale e attualmente direttore de La Biennale Danza di Venezia, ha realizzato uno spettacolo teso e rigoroso, reintitolato Le Sacre, ispirato a La sagra della primavera. Il nucleo centrale sono i corpi nudi dei dodici bravissimi ballerini (torso nudo, leggins color pelle) che si muovono sul vuoto tappeto rosso come un unico grande corpo, un unico grande flusso di energia. Gesti, slanci, cerchi, il cui punto di tensione parte dalle articolazioni di braccia e gambe, dalle relazioni tra i ballerini gli uni con gli altri.

Nella sua nuova creazione Virgilio Sieni sceglie di frequentare la musica di Igor Stravinskij e l’universo del rito con l’intento di iniziare un cammino nella frammentazione e nella composizione del corpo coreografico. Una coreografia primitiva che vuole essere uno scavo archeologico del corpo; una coreografia che chiede agli interpreti di originare i movimenti dalle risonanze e dalle stratificazioni ritmiche della musica di Stravinskij affinché lo sguardo di chi osserva si abbandoni alla foresta dei gesti. Danzare La Sagra della primavera significa indagare – tra intuito e struttura, rito e gioco – il sacrificio “come forma epifanica e morale del bene comune”, come scoperta dell’ignoto che scorre ai bordi della nostra vita, alla ricerca del gesto che dalle pieghe più profonde dell’individuo va a costruire una comunità. A precedere La Sagra sarà un Preludio su musica di Daniele Roccato per riflettere sulla nuda vita che ci riporta al senso dell’archeologia, alla forma nella sua impossibilità di essere afferrata. I corpi appaiono come maceria e origine, ricomponendo un dizionario di movimenti primi e ricercando i prolegomeni del rito: tutti tentativi, verifiche, dettagli e accenni, pieghe del corpo sulla soglia dell’umanità; sestetto di donne, in esodo, naufraghe, che cade innocente nella mitologia quale fonte gioiosa del “noi” nel gesto.

Gesti precisi, limpidi, mai illustrativi, finalmente liberi dei movimenti stereotipati della danza contemporanea, dolcissimi e violenti, intimi e ieratici che orientano lo spettatore in un paesaggio emotivo, rituale, primordiale, enigmatico ma potente: una immagine che resta tra le cose da non dimenticare e una immersione profonda nel valore di umanità della partitura stravinskijana, la quale, per ammissione del suo stesso autore, altro non è che "un rito pagano", dove "vecchi saggi seduti in circolo guardavano una giovane ragazza danzare fino alla morte. La sacrificavano per propiziare il dio della primavera".

 

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