Intervista ai fondatori della compagnia ATACAMA: Patrizia Cavola e Ivà n Truol

La redazione danza di Gufetto Magazine ha avuto il piacere di intervistare Patrizia Cavola e Ivàn Truol, fondatori della compagnia Atacama, in occasione della nuova produzione MIGRANTI, in scena al Teatro Tor Bella Monaca di Roma dal 23 al 25 giugno.  La Compagnia, nata nel 1997, da ottobre 2009  ha residenza artistica presso La Scatola dell’Arte di Roma, centro di formazione e produzione Gestione e Direzione Artistica di Patrizia Cavola e Ivàn Truol, ed è sostenuta e riconosciuta dal MIBACT Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo- Dipartimento dello Spettacolo.

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Come e quando avete scelto di dedicarvi alla danza come libera professione? 
 
Patrizia:
Per quanto mi riguarda l'incontro con la danza è stato un accadimento che mi ha travolta e trasformata, azzerando la visione che avevo in precedenza di me e i piani per la costruzione del mio futuro e della mia professione. Ho capito che attraverso la danza avrei potuto mettere insieme il mio corpo con la mia mente, il mio sentire, la mia creatività, la mia necessità espressiva. Acquisita questa consapevolezza ho sentito la necessità di dedicarmi interamente a questa pratica, ho lavorato per diventare una danzatrice e poi col trascorrere degli anni una coreografa, un'insegnante e quindi la direttrice artistica della mia compagnia.
Ivan:
Da bambino ho incontrato il teatro a scuola e mi è subito piaciuto. Da adolescente ho deciso di fare l'attore e nel momento in cui ho dovuto scegliere la mia carriera universitaria mi sono iscritto alla facoltà di teatro dell'Universidad de Chile. mentre frequentavo l'Università, Pina Bausch, è arrivata in Cile per presentare La Sagra della Primavera e Cafè Müller e ha aperto le sue prove a noi studenti della facoltà di teatro e di danza. Vedendo il suo lavoro ho scoperto un altro modo di fare teatro, attraverso il movimento, l'energia e il corpo e ho capito che quella era la strada che volevo intraprendere.
 
 
Com’è nata la Compagnia ATACAMA? 
 
Dall'incontro e dalla profonda intesa artistica tra noi due.  Dal nostro desiderio di essere autori e coreografi di noi stessi in primis e poi di altri danzatori. Dalla necessità di dare stabilità e veste professionale a queste attitudini.
 
 
Su cosa si basa la vostra ricerca coreografica? 

L’indirizzo della nostra ricerca è quello della costruzione di un teatro fisico, che si situa in una zona di confine, multidisciplinare, dove il movimento e la danza, l’espressione vocale, il testo, la musica e quale altra forma artistica si riveli necessaria durante la creazione, interagiscono e si integrano. Il progetto coreografico vuole unire l’elaborazione della danza/poesia fisica ad un lavoro di costruzione delle immagini pittorico e visionario, all’uso della parola e del suono, all‘interazione con le musiche. L’interesse è per la commistione dei linguaggi.

Al centro è il corpo con tutte le sue possibilità espressive. Praticare la danza per noi, non equivale alla riproduzione di un codice prestabilito o di una tecnica acquisita, al contrario mira alla creazione di un linguaggio, continuamente in divenire, attraverso la ricerca, la sperimentazione. La danza generata e accesa dal sentire vuole essere espressione dell’essere e contenere in sé la forza dell’agire, comunicare, turbare, infiammare. Essere veicolo di significato. Ci interessa percorrere la scrittura del movimento dall’immobilità e dall’essenzialità di un gesto minimo alla energia necessaria e al rischio insito in un movimento d’alto livello atletico, coniugare il quotidiano con l’acrobatico. Innovare il linguaggio, elaborare nuove scritture coreografiche e una drammaturgia del movimento. 

 
Secondo la vostra esperienza, da dove o da cosa nasce la creazione della performance e come si sviluppa in seguito? 

La letteratura, i romanzi, la poesia, gli aforismi spesso sono la fonte d’ispirazione del nostro lavoro coreografico. Da “Istruzioni per rendersi infelici” (2004) creazione per quattro danzatori, tratto dal testo di Paul Watzlawick, a “Galleggio, Annego, Galleggio” (2013) creazione per cinque danzatori, nata dalle suggestioni di “Cabaret Mistico” di Alejandro Jodorowsky, a Come un bambino abbandonato nello specchio dell’armadio, (2014) creazione per sette danzatori, liberamente ispirata dalla Storia di un corpo di Daniel Pennac, a Cappuccetto Rosso – C‘era una volta il Lupo e la Fanciulla (2016) creazione per tre danzatrici ispirata all‘omonima fiaba. In generale ci piace indagare sull'essere umano, sulle sue contraddizioni, le sue grandezze e le sue miserie, le sue bellezze, posare lo sguardo su noi stessi come grandiose e vulnerabili creature umane.

 
Qual'è il rapporto con la musica nelle vostre creazioni? 
 
Da sempre in ogni creazione lavoriamo con le musiche originali del compositore Sergio De Vito fondatore del gruppo Epsilon Indi. La colonna sonora di ogni spettacolo, fatta di musiche, sonorizzazioni, silenzi, voci, viene realizzata appositamente dal compositore in sinergia con noi.
 
 
Com’è nato lo spettacolo Migranti, in scena il 23, 24 e 25 giugno al teatro Tor Bella Monaca di Roma? 
 
Ci siamo posti l’obiettivo di andare a sondare, attraverso la creazione artistica, tematiche con un forte riscontro sociale, le migrazioni, la mobilità, l’integrazione, la diversità culturale, i conflitti e le contraddizioni che ne derivano. Esplorare il concetto di mobilità, movimento interno ed esterno, del singolo e dei gruppi, direzioni e flussi migratori, spostamenti liberi e indotti, invasioni. La vocazione alla migrazione caratterizza parte del genere animale e la specie umana. I movimenti migratori sono antichi quanto la storia dell’uomo, le motivazioni che li hanno prodotti sono molteplici. Le migrazioni internazionali hanno però raggiunto oggi dimensioni sconosciute nei secoli precedenti, grazie in parte allo sviluppo dei mezzi di comunicazione e dei trasporti. Indagare sulla necessità del movimento inteso nelle differenti accezioni che evoca e sulle conseguenze meravigliose e devastanti che gli spostamenti e i flussi migratori hanno sul nostro vivere contemporaneo. La fuga di chi si allontana da una guerra, il viaggio obbligato di chi lascia condizioni di fame, povertà e diritti umani negati, gli spostamenti scelti da chi si sente cittadino del mondo e vuole abitarlo al di la delle proprie radici, studiare all’estero, conoscere altre culture, l’attrazione per percorsi spirituali e religiosi che conducono in paesi diversi da quelli di nascita, la fuga dei migliori scienziati la dove è sostenuta la ricerca e dove si può incontrare un lavoro all’altezza delle proprie competenze, la mobilità degli artisti.

Chi pratica l’arte e in particolare la danza si confronta inevitabilmente e quotidianamente con il concetto di movimento e mobilità. Siamo entrati in questa ricerca esplorando lo spostamento del singolo e del gruppo, della folla, degli stormi, delle mandrie. Direzioni e Percorsi. Intraprendere il viaggio e raggiungere un luogo altro, l’arrivo, gli sbarchi, l’approdo. L’incontro con l’altro. Il diverso.

Opportunità o pericolo. Incontro, confronto, scontro. Abbiamo voluto porre lo sguardo sulla complessità che caratterizza il mondo contemporaneo, complessità e contraddizioni e il caos che ne deriva.

 

Cosa ci riservate per il futuro?

Abbiamo molti progetti sui quali stiamo lavorando contemporaneamente.
Naturalmente la creazione, giusto in questi giorni stiamo elaborando il progetto per la nuova creazione 2018 che parlerà di uomini e donne, indagando sulle differenze di genere, sull'incontro e lo scontro, la violenza sulle donne, il femminicidio. 
La circuitazione dei nostri spettacoli, abbiamo già programmate circa cinquanta date in tour per Italia e  Francia da qui a maggio 2018 con differenti titoli.  
Poi c'è La Scatola dell'Arte il nostro centro di produzione e formazione, dove organizziamo workshop, laboratori, corsi, residenze creative e molto altro.
Infine la direzione artistica della danza nella programmazione del teatro Tor Bella Monaca di Roma, la rassegna TBM Danza, che ci sta dando modo di venire a contatto con il lavoro di tanti straordinari artisti che abbiamo la fortuna di ospitare.
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