Intervista alla coreografa Erika Silgoner

Ad una settimana dal debutto del nuovo progetto di Ä’SKÄN "Ode all'uomo fragile", la redazione di Gufetto ha deciso di intervistare la giovane ed aprezzata coreografa della compagnia Erika Silgoner per far conoscere al pubblico il suo lavoro artistico.

Hai iniziato a studiare danza da adolescente e all'estero, com'è stata la tua educazione in campo artistico tra Parigi, Londra e New York? E quali sono state le esperienze e gli incontri più significativi che hanno poi forgiato il tuo stile?

Da adolescente, almeno fino ai 19 anni, la mia scelta è stata diciamo "radicalmente" orientata verso il balletto classico, subivo un retaggio culturale molto sentito all'epoca per il quale l'unica danza degna di essere chiamata tale fosse appunto il balletto classico, ed essendo io poco predisposta al compromesso non avrei mai svilito l'amore per la danza orientandomi verso forme considerate "meno evolute". Soprattutto a Parigi; dove ho speso un anno, ho avuto modo di studiare con i grandi maestri dell'epoca, ma non riesco a legare a nessun incontro quanto all'insieme di tutte le esperienze ciò che ha forgiato quello che oggi è il mio linguaggio.

 

 

 

Con il solo “? I mA” interpretato da Gloria Ferrari hai vinto il primo premio per la coreografia e il primo premio quale migliore performer al prestigioso Internationales Solo Tanz Theater Festival di Stoccarda. Questa è stata una bella soddisfazione per la danza italiana ma anche per te come coreografa, puoi parlarci dell'assolo?

L'esperienza di Stoccarda mi ha dato modo di presentare un solo nel quale credevo profondamente. "I mA?" è, prima ancora che una creazione coreografica, un'indagine su chi siamo, su cosa rappresentiamo per gli altri, e quindi sulla nostra facciata, in contrapposizione con le nostre intime fragilità che ci portano a sentirci vacillanti e spesso obbligati a rimetterci in discussione per scoprirci nuovamente, per evolverci, per ricostruire la nostra identità dopo ogni crisi.
Il successo del Solo ed il conseguente riconoscimento come miglior coreografia e performance all' internationales Solo Tanz Theater di Stoccarda è stato un momento molto emozionante per me che vivo costantemente la paura di non essere compresa, ho avuto la conferma che quando una creazione è forte, utile ed onesta lo spettatore la accoglie con generosità.
 
 
 
 
 
 
 
 
Una delle tue ultime creazioni messa in scena al Teatro Greco di Roma è stata "4 John", ispirata a John Cage, e mi viene quindi da chiederti che ruolo ha la musica nelle tue coreografie?
 
La mia ultima creazione "4 John", così come la precedente "1 [about time]", sono state caratterizzate entrambe da una scelta musicale azzardata. Il mio rapporto con la musica e col suono in generale è un rapporto intimo, questa è la ragione per la quale spesso la mia scelta ricade sul silenzio. Mi affascina sentire la "musica" prodotta dal corpo e dall'interazione col pubblico, che spesso viene richiamato maggiormente all'ascolto dall'intimità che si crea in una sorta di confessione silenziosa.Penso che spesso l'arte del movimento basti a se stessa e che non abbia necessariamente bisogno di "condimenti", la musica, il movimento, la scenografia e qualsiasi altro elemento che venga portato in scena, devono necessariamente essere giustificati. Non escludo nulla a priori, ma a priori escludo il superfluo. Per me l'arte è ricerca e parte della ricerca è dettata dalla misura del gesto, del volume, del suono.
 
 
 
Il 25 maggio andrà in scena allo stesso Teatro Greco "Ode all'uomo fragile", a cosa si ispira e qual'è stato l'iter della tua ricerca?
 
Il prossimo 25 maggio al Teatro Greco di Roma debutterà la mia prossima creazione per Esklan, " Ode all'uomo fragile".
Lo spettacolo, in un unico atto, è un’indagine sull’incapacità ormai dilagante di ascoltare l’altrui pensiero, sull’inabilità di gioire di successi che non siano i propri o di ammettere l’altrui valore per la paura di uscirne con il proprio ego in frantumi.

Conduttore delle dinamiche dello spettacolo è il mediocre per eccellenza, colui che si cela dietro un’apparente sicurezza. In scena provoca, giudica, mortifica e, senza scrupolo, ferisce gli altri protagonisti da lui etichettati come inutili e mediocri, diventando così portavoce di un’attitudine disarmante e distruttiva, atteggiamento ormai largamente diffuso. Egli rappresenta quella tipologia d’uomo in continua ricerca di conferme, avido di lusinghe e mai disposto ad elargirne.
Questo non volersi mettere in discussione, questa ingenerosità di fondo, mette in luce una società ormai spaventata dal confronto, insicura rispetto al proprio valore, abituata ad aver paura… mollemente adagiati su una vita che critichiamo, che vorremmo cambiare, ma della quale ci accontentiamo perché rivoluzionarla ci metterebbe davanti ad uno specchio, quello specchio che il nostro conduttore ritrova in ogni persona che attacca, quello specchio in cui puntualmente ritrova il vero Essere insignificante, l’unica persona della quale ha realmente paura, se stesso.                        

Questa terza creazione di Esklan è forse la più generosa dal punto di vista emotivo, la più "nuda" e forse per questo anche  la più difficile da portare in scena.    

 
 
 
 
Abbiamo parlato all'inizio dei tuoi studi all'estero e dato che oggi si parla tanto di "cervelli in fuga" in quest'intervista sono fiera invece di chiederti come mai sei tornata in Italia, come mai hai voluto creare la tua compagnia Ä’SKÄN proprio qui. Cosa consigli ai giovani che vogliono fare della danza la loro professione?

In questo momento è molto difficile sviluppare un progetto artistico in Italia, ci si trova a combattere contro una crisi che sta attraversando i confini dell'Europa e con mille altri ostacoli che mi sembra ridondante elencare. Essenzialmente però non ho potuto scegliere se coreografare o meno, è stata una necessità, dovevo farlo, e far partire il progetto Esklan a Roma si può dire che sia stata una casualità dettata da scelte personali, i tempi erano maturi ed io mi trovavo "casualmente" a Roma…ecco. Credo molto in Esklan, e credo in questi danzatori che da più di due anni stanno dando anima e corpo per far crescere questo progetto che, a mio avviso, ha un potenziale enorme ed un linguaggio originale ed onesto.        Credo che un artista non abbia bisogno di consigli, non mi sento in grado di darne, credo abbia bisogno di sbagliare, di sbattere la testa per capire quanto si vuole far parte di un mondo così complesso, quanto si vuole far i conti con se stessi, quindi forse il mio consiglio, quello che do a me stessa ogni giorno è quello di rischiare.                                                                                                          

Cosa ci riservi per il futuro?                 

Per il futuro… spero di riservarvi tante repliche e tante nuove ed ispirate creazioni.

 

Grazie Erika da parte della redazione di Gufetto Magazine

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