Il 3 novembre è andato in scena nello spazio off della Pelanda a Testaccio e nel corso del Roma Europa Festival, lo spettacolo “INFLUENZA” con la compagnia “inQuantoteatro (*)”. Coreografato e diretto dalla giovanissima Illustratrice, performer e coreografa Floor Robert accompagnata dall’attore Giacomo Bogani e dal danzatore Francesco Michele Laterza. Insieme, hanno portato in scena la potenza suggestiva delle immagini infantili e il senso di vuoto che si prova quando queste ultime vengono portate via bruscamente dalla vita, o più semplicemente, dal passaggio nell’età adulta.
Nel tempo della rappresentazione non si parla. O meglio si parla soltanto all’inizio e alla fine. Del nome del personaggio che interpreta l’attrice non sappiamo nulla, ma non importa. Lo spettatore potrà essere partecipe delle sue evoluzioni in aria così come a terra. Lo svolgersi della rappresentazione non vuole far prevalere un cronologico susseguirsi di fatti e vicende bensì, desidera trasmettere un messaggio profondo servendosi del corpo e delle immagini che esso è in grado di creare nello spazio e nel tempo. Infatti ciò che appare evidente è il bisogno e il desiderio di ritornare alle origini, allo stato infantile, spensierato e puro che contraddistingue l’essere bambino.
Ritorna quindi in mente il titolo: INFLUENZA. E l’ennesima domanda che sorge spontanea è: “di che tipo di influenza parliamo?” forse è l’influenza del mondo che viene rappresentato per mezzo di una coperta fatta di pagine di giornale che copre gli occhi dell’attore in secondo piano, e molto probabilmente l'influenza della quale si parla deriva da tutte le parole, convenzioni, costumi e clichè, che provengono dal mondo esterno.
La danzattrice verso la fine, chiede ad uno dei due personaggi con lei in scena: “chi sei?”, quando in realtà lo sta chiedendo a se stessa. Il continuo interrogarsi sul proprio io, per mezzo di movimenti statici o violenti, è sinonimo e sintomo di una società che propone/impone pochi volti e tante maschere e noi, poveri spettatori, cerchiamo di adattarci a quello che qualcun altro ci mette a disposizione, facendolo valere come unica realtà possibile. Crescendo cominciamo ad indossare la maschera che pensiamo di aver scelto da soli e che possa piacere di più agli altri, per venire finalmente accettati e sentirci accolti come a casa. Dimenticandoci però, che a questa scelta corrisponde, in egual misura, la stessa dose di frustrazione e distacco da ciò che prima credevamo di poter essere.
La Casa. L’utero materno è stilizzato e spigoloso nello spazio ben definito della scena: attraverso i palloncini verdi spostati secondo la necessità degli attori. Infatti, questi palloncini appesi ad un filo (immagine involontaria di un finissimo cordone ombelicale), vengono disposti dalla danzattrice sul pavimento come per definire un rettangolo storto, all’interno del quale si andrà a sdraiare supina. La bellezza e la grazia della rappresentazione proviene essenzialmente dalla gestualità e non dalle poche parole della protagonista; non è tanto il suo turbamento, quanto piuttosto l’accettare di buon grado e con grandissima spontaneità (come quella di una bambina), ogni personaggio che entra in scena, seppur quest’ultimo, può sembrare allo spettatore, poco inerente allo svolgimento e quindi fuori luogo. Tra i tanti messaggi che arrivano dritti al cuore e alla mente del pubblico c’è anche l’accettazione del diverso, dell’altro, dello sconosciuto, senza alcun timore. Un grande potenziale e una grandissima dote è intrinseca nel DNA dell’uomo e altrettanto potenziale viene perso in dosi massicce nel momento in cui decidiamo di indossare strati e strati di maschere che ci impediscono di filtrare il mondo e vedere l’altro per com’è, e non per come vuole o vorrebbe apparire a noi.
La danzattrice Floor interpreta un’adulta che fa finta di essere una bambina e che attraverso il movimento del corpo cerca di ricordare il suo stato infantile. Una tecnica che ricorda (alla lontana) il metodo delle azioni fisiche di Stanislavskij. Dal conscio si cerca di passare all’inconscio con spontaneità, anche se questo passaggio non trapela come dovrebbe anzi, necessita di molta pratica e molta dedizione. Gli altri due attori interpretano delle parti silenziose così come è l’intera rappresentazione: sono spesso camuffati con buffi copricapo che nascono il viso o più semplicemente ricoperti da una tintura di colore verde sbiadito. Il verde e il rosa del vestito naïf della ragazza, sono i colori dominanti. Lo stesso punto di verde lo ritroviamo sulle mani dell’attrice, che ricordano molto quelle di un bambino che ha appena pasticciato con le tempere a scuola e di conseguenza ci fa intuire che, molto probabilmente, sia stata lei a colorare la faccia del suo amico immaginario e quindi lei ad averlo inventato. La scenografia scarna e fredda mette in primo piano i colori pastello indossati dai tre attori e dai sei palloncini che si sviluppano in altezza, ancorati da un piccolo peso per ciascuno sul pavimento del teatro. La luce rimane statica mentre la musica crea l’atmosfera tipica dell’introspezione: misteriosa, affascinante e minimal.
Visto il 3/11/2017
Info:
Dove: Piazza Orazio Giustiniani 4 (Testaccio)
Scritto e diretto da Floor Robert
Interpretato da Francesco Michele Laterza, Giacomo Bogani e Floor Robert
Per saperne di più:
(*) inQuanto teatro
è un collettivo artistico che ha sede a Firenze, nel quale operano Andrea Falcone, Floor Robert e Giacomo Bogani. Parte di una rete di legami e unioni più ampia, estesa nello spazio e nel tempo, inQuanto teatro collabora o ha collaborato con Giulia Broggi (performance, grafica, video editing), Julia Lomuto (Organizzazione, comunicazione) Matteo Balbo (performance, grafica), Susanna Stigler (fotografia), Duccio Mauro (fotografia), Maria Sole Vannetti (costumi) e Francesco Michele Laterza (performance). inQuanto teatro è una rete di connessioni tese e intese nel campo artistico; un lavoro a maglia a molte mani, che riutilizza trame e brandelli di un altro tempo per intrecciare il testo di domani.