Il giorno 9 febbraio ha avuto inizio la XII edizione del Festival Internazionale di Danza Equilibrio. Ogni anno la Fondazione Musica per Roma apre l’Auditorium Parco della Musica alle migliori produzioni italiane ed estere che quest’anno analizzeranno la relazione tra musica e movimento.
La compagnia italiana Aterballetto inaugura la serata d’apertura con un trittico composto da due coreografie firmate Michele Di Stefano e una del danzatore e coreografo Philippe Kratz.
In Upper-East-Side Michele Di Stefano unisce saggiamente il tecnicismo dei nove danzatori e la sua immancabile genialità coreografica. Ogni danzatore possiede una propria frase coreografica che collocata nel sistema sfida l’irriproducibilità del tempo e analizza minuziosamente la propria collocazione nello spazio e la relazione con gli altri. Il disegno coreografico si sviluppa attraverso questa continua ricerca di scambio e si orienta verso un’astrazione compositiva che permette ai danzatori di decontestualizzare la propria danza e renderla esplorazione.
E-ink, è un duetto coreografato quindici anni fa e reinterpretato oggi dai danzatori Damiano Artale e Philippe Kratz: costruito come una scrittura e curato fin nel minimo dettaglio, viene definito dal coreografo stesso come una costruzione geroglifica.
Una misteriosità di segni, un evidente studio maniacale della ritmica e un costante stato di con-fusione rendono questo duetto intraducibile ma fortemente appagante: i corpi diventano trasmissioni di messaggi oracolari, la musica è perfettamente mutevole e il messaggio dolcemente incomprensibile.
Un eco marino anticipa l’apertura del sipario; appare un grande telo nero sul fondo della scena e una donna con indosso un vestito lungo attraversa il palco trasversalmente. Inizia così L’eco dell’acqua, la coreografia di Philippe Kratz, liberamente ispirata al Canto degli spiriti sulle acqua dello scrittore tedesco Johann Wolfgang von Goethe e all’abbattimento di un aereo civile in Ucraina da parte di un missile militare.
Nella prima parte i danzatori sono avvolti in un’atmosfera gotica: le luci e i costumi sono neri; i passi si susseguono cercando di farsi spazio tra l’oscurità e il caos che stordiscono le simmetrie coreografiche. Una danzatrice recita in tedesco mentre altre voci anglofone e francofone si aggiungono all’eco del movimento degli altri danzatori.
Una dolce melodia spezza questa atmosfera e accompagna un duo tra luce e buio, tra speranza e oscurità. Ma la precarietà dell’esistenza umana si traduce nella facilità di essere inghiottiti e di sparire, come in questa scena nel telo nero.
Da questo momento in poi, l’anima e il destino umano che Goethe assimila metaforicamente all’acqua e al vento, si muovono in uno stato di caos e i danzatori sono i protagonisti di quest’incubo, di questa vicenda eterna dell’esistere umano.
La scena sembra concludersi con un buio quasi totale, c’è solo una luce puntata sul gruppo e poco a poco i componenti cadono a terra morenti. Il silenzio viene interrotto da una melodia classica che accompagna istericamente il divenire della scena. Ancora una volta il telo nero inghiotte tutti i danzatori, tranne una danzatrice, lei: l’eco dell’acqua.
Ancora una volta la compagnia emiliana, stupisce il pubblico grazie alla grande capacità dei suoi danzatori di adattarsi ad ogni tipo di proposta coreografica. Dallo studio iconografico di Michele di Stefano attraente nella sua inconoscibilità alla liricità contemporanea di Philip Kratz.
L’aterballetto è un orgoglio italiano.