“TORNO ALLA VITA” è una produzione AlterEgo, con la regia di Francesco Sala, che parla di disabilità, ma che manca purtroppo il bersaglio per l’utilizzo di una formula stridente che associa la musica a questo delicato tema.
Assistendo alla messa in scena di Torno alla Vita risulta difficile non pensare a una promessa non mantenuta, ed è forte, all’uscita, la sensazione di non aver ben capito cosa si è visto.
Il problema è molto probabilmente nel testo di Fornari, disomogeneo quando non proprio confuso, ma anche della formula, con la scelta dello spettacolo musicale per una vicenda che sin dalle prime battute vi stride fortemente. Ma forse non è esattamente neanche questo, dal momento che è tutto talmente (e non intenzionalmente) straniante da rendere difficile anche l’individuazione delle criticità.
La promessa non mantenuta cui si accennava all’inizio è ciò che viene delineato nelle note di regia, ossia la convivenza con una disabilità grave, le difficoltà comunicative, spesso figlie del diverso rapporto con la tragedia dei protagonisti, una flebile speranza di guarigione. La formula dello spettacolo musicale non fa altro che accentuare la curiosità su un approccio inconsueto a tali tematiche. E invece tutta l’aspettativa ingenerata dagli equilibri fra i personaggi, intuibili nei primi minuti dello spettacolo, decade proprio alla prima delle canzoni, il cui stile distrae totalmente lo spettatore.
Poco aiuta una vicenda che diviene in breve tempo poco realistica, anche e soprattutto parlando di disabilità, e una discesa inesorabile di praticamente tutti i personaggi in clichés da fiction di prima serata. Dispiace, perché si intravede la professionalità dietro alla messa in scena, vanificata però da un testo confuso, poco rigoroso per essere una testimonianza sulla disabilità, troppo disomogeneo nel clima per essere una lettura leggera del tema. Testo che sembra, infine, risolversi in una storia d’amore tormentata, ma inconclusa e inconcludente.
Dispiace altrettanto per il potenziale inespresso di quest’opera. Gli attori in primis e fra loro chi, in particolare, si è cimentato nelle parti canore, ovvero Gabriella Borri, Valeria Girelli, Mariano Riccio e Paolo Gatti, ottime voci sui brani cantati ma costretti – non è chiaro se dal testo o dalla regia – ad una recitazione caricata. Potenziale rappresentato analogamente dalle composizioni di Dino Scuderi, dallo stile riecheggiante Alan Menken, affatto banali e dalle soluzioni interessanti, ma che sembrano forzate nel testo e non valorizzate da una messa in scena che ne faciliti la fruizione, cosa che determina più una distrazione dello spettatore dalla vicenda che un coinvolgimento.
Una grande occasione persa ma dietro la quale appare il grande impegno della produzione AlterEgo, che auspichiamo rivedere al lavoro su un testo meno farraginoso o quantomeno raffinato nell’utilizzo di una formula sicuramente interessante ma rivelatasi, in questo caso, decisamente poco efficace.