Saturn’s Children di Alessandro Orlandi è un progetto ambizioso: due CD, ognuno di 16 brani, uno totalmente in inglese, uno in italiano.
La prima cosa che salta all’occhio è l’offerta di canzoni, quasi sproporzionata rispetto a quella che di solito troviamo nelle piccole produzioni: sembra quasi che Alessandro Orlandi, protagonista, motore e factotum del progetto Saturn’s Children, abbia voglia di far sentire tutto ciò di cui è capace e quello che ha da dire.
Il (doppio) disco ha così la duplice valenza di dare all’ascoltatore un’idea del lavoro compiuto fino a qui dal cantautore Romano, e all’autore di fare una sorta di “pulizia della soffitta”, editando, in un modo omogeneo e inclusivo, il suo materiale originale.
E infatti il titolo dell'album/progetto riprende proprio il mito greco di Saturno che, inghiottiti i figli – le canzoni – li tenne dentro di se per darli alla luce dopo molto tempo. Proprio come Orlandi ha tenuto per anni alcuni suoi brani da parte per pubblicarli in questo disco.
Riassumere un prodotto così in una recensione non è facile: inevitabilmente su 32 brani è più facile che vi siano alti e bassi, che sia più episodico che organico. Ma in generale si può parlare di un lavoro originale e ben fatto, con una sua personalità – che sembra tutta rispecchiare quella del suo autore – e che raggiunge l’obiettivo di riassumere una filosofia musicale, seppure non in una ‘sintesi’.
Nel primo CD sono raccolti tutti brani in inglese, di cui molti già editi in passato (con tanto di videoclip, come Dream Killer o Frozen words), nei quali Orlandi tradisce una certa pronuncia romana, che tuttavia non distrae più del dovuto e non pregiudica l’ascolto.
Forse è proprio questo primo CD a risultare la parte più omogenea. Cristalline sono le influenze beatlesiane, di cui Orlandi non ha mai fatto mistero, che pervadono la playlist, seppure senza mai sfociare in una sterile scopiazzatura. D’altra parte, chi non ne è stato influenzato, nel pop-rock? Proprio questo sembra essere il fil-rouge che unisce tutti i brani che, seppur diversi, sono intrisi delle stesse suggestioni.
I brani risultano tutti freschi e gradevoli, con alcuni particolarmente degni di nota (Overcoming, All my dreams e Dead people, con l’ottimo apporto della voce femminile di Laura Zara). Orlandi dimostra tutta la sua versatilità di one-man band, suonando la maggior parte degli strumenti per l’intero disco con la collaborazione in particolare di Emanuele Donnini e Andrea Camilletti, anche tecnici del suono.
Il secondo disco ha un’anima più eterogenea e si apre con il singolo Stilla di stelle, omaggio pop ad un certo swing à la Bacharach, il cui video è stato premiato al California International shorts festival 2018 come ‘Best Music Video’.
Stili e sonorità di questo seconda parte sono più eterogenei ma, forse anche per la lingua più congeniale al cantautore, i brani del secondo CD sembrano più ‘sinceri’, rispetto a quelli in inglese. Molti dei brani danno l’impressione di poter facilmente rientrare nella nuova corrente italiana indie, ma più che esserne influenzato Orlandi ne sembra essere un pioniere, in primis per motivi cronologici e soprattutto per uno stile di canto e composizione che sembrano attualissimi.
Anche nel secondo CD Orlandi domina i credits, come autore e polistrumentista, mentre è molto presente come coautore e musicista, Sergio Tiroli, oltre a Emanuele Donnini e Andrea Camilletti, al recording.
Saturn’s children è in conclusione un prodotto eterogeneo, molto ad immagine del suo autore e per questo difficile da classificare. La formula del doppio CD sembra più rivolta ad un pubblico già affezionato all’artista, che non ad un ascoltatore occasionale; ma in definitiva, quello che traspare è la grande voglia di Orlandi di fare musica e, con questo prodotto, farla ascoltare nel modo più completo.
Ogni considerazione commerciale decade dunque, come spesso accade per la musica indipendente, e rimane solo da dire come questo sia un prodotto ben fatto e ambizioso, che esprime la passione di un autore per il suo lavoro, e tanto basta.