In occasione dell’inaugurazione di Matera come Capitale europea della Cultura 2019, è stata presentata al pubblico la performance The New Gospel firmata dal regista e drammaturgo Milo Rau. La registrazione dell’evento è stata resa disponibile per 4 giorni (dal 1° al 4 aprile) sul sito della compagnia teatrale belga NTGent. Un’opera multiforme che condivide con la Passione di cui parla il Mistero, nella grazia delle contaminazioni artistiche intrinseche nel progetto.
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The New Gospel e il progetto di Milo Rau a Matera Capitale europea della cultura 2019
Sbrigativamente potremmo definirlo un film, perché appunto il medium impiegato è questo: ma in realtà il prodotto è infinitamente più complesso, ekfrastico e meticcio, ed infinitamente più sospeso fra varie linee interpretative e varie connessioni. Lo stesso regista ci avvisa di questo con le parole dell’attivista bianco che lo rimprovera: “noi non siamo un film, cazzo! Io organizzo le lotte, non posso rompermi i coglioni ad organizzare il film perché ogni due minuti mi cambia il mondo!”.
The New Gospel: film o scommessa reale?
La voce polemica avvisa degli intenti sottintesi: si tratta di un film, o di una scommessa reale?
Alla domanda di base (“se Cristo di nuovo scendesse in terra, a chi parlerebbe? Quale lotta intraprenderebbe, quale rivoluzione, quale ricerca di una dignità misconosciuta, o perduta?”) la risposta fornita da Milo Rau non tenta neanche di essere univoca. Presente a Matera per le celebrazioni della città capitale europea della Cultura nel 2019, il regista dichiara che non potrà mai prescindere, lavorando sulla Passione, dall’occuparsi delle condizioni disumane in cui vivono e lavorano i braccianti agricoli, per lo più africani, arrivati in Italia dal ventre del mare (“dov’è la terra, mi chiedevo nel buio, dov’è…”) e schiavizzati e vessati in maniera inqualificabile. Nasce allora un progetto polimorfico, a vari livelli.
Un documentario, forse: scivola fluido da una Matera che ha “lo stesso andamento di Gerusalemme” e un altopiano che è un perfetto Golgota, alle baraccopoli infernali, prigionia degli immigrati senza documenti, paradosso di un’Italia che ha abitazioni in container perfettamente funzionali ma deserte e che “non è priva di risorse ma le spreca”.
Milo Rau e il suo New Gospel, tra innovazione e legami con le esperienze del passato
Un film, forse: seguiamo i provini degli attori neri, l’identificazione dell’attivista Yvan Sagnet con Cristo, dei suoi compagni braccianti come Apostoli, sentiamo il lessico comune della passione religiosa e di quella politica (“ti seguirò, non ti tradirò”) e rimaniamo sospesi nel dubbio di fondo se si finga o no (no: le lotte e le rivolte sono non metaforiche ma reali; sì, perché sono materia performativa, come ci ricorda mille volte la regia che inquadra la stessa macchina da presa che gestisce la realtà rendendola prodotto d’arte).
Milo Rau sulla lunga via di film sulla Passione
Milo Rau reitera i segni che insistono sull’appartenenza del progetto al campo dell’arte, lo rende tappa di una lunga via di film sulla Passione: il primo link, infinitamente insistito, ha luogo collegandosi a Il vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini. Stessa location, talvolta stessa colonna sonora, un passaggio di testimone affidato a Enrique Irazoqui Levi, il Gesù pasoliniano, che qui diventa il Battista simboleggiando l’investitura del nuovo Cristo, al quale, tra l’altro, dà indicazioni drammaturgiche consigliandogli, da attore, come interpretare alcune scene.
Milo Rau ed il legame con Pasolini
La coincidenza col film di Pasolini è estremamente profonda, perché anche l’opera pasoliniana sottolineava l’aspetto rivoluzionario e radicale di un Cristo sempre presente per i deboli e gli ultimi. Ed è affascinante notare come la cifra visiva di Milo Rau faccia arretrare quella, infinitamente funzionale, di Pasolini verso una bellezza imperturbata, pittorica, serena, mentre qui le inserzioni postmoderne stridenti rendono rare, e preziose, le gocce di serena perfezione che la sabbia bianca o il mare regalano a un mondo, comunque, sempre rigato e sconvolto dalla bruttura della violenza, dell’ingiustizia.
Come nel film di Pasolini anche qui i confini tra interprete e ruolo sono porosi, e significativi: la Maddalena è una prostituta nera che sogna il suo riscatto e offre alloggio ai senzatetto che dormono alla stazione; il sindaco di Matera sceglie di incarnare il Cireneo, e di aiutare a portare la croce, perché, specifica, coloro che hanno il suo ruolo “devono essere a servizio”. Infinitamente catartica e perturbante la scena dell’improvvisazione del giovane attore che sceglie di interpretare la parte oscura di un cattolico, o di ognuno di noi, ricoprendo di sferzate e di insulti razzisti la sedia/Cristo già evidentemente incarnato dall’attivista nero. Una scena più straniante e perturbante della vera fustigazione, che peraltro ricollega il film al precedente lavoro di Mel Gibson, anche questo ambientato a Matera: nel sangue e nel reticolo di cicatrici sulla schiena di Gesù e nel volto paralizzato dall’orrore della stessa attrice che nei due film interpreta Maria comprendiamo che anche questo legame non è stato trascurato, nella catena di rimandi infinita che è l’arte.
Il New Gospel di
Milo Rau a Matera: la grazia delle contaminazioni artistiche
Come in ogni tragedia, anche questo lavoro si stringe drammaturgicamente, conosce un gorgo finale esplosivo e tutte le linee si raggrumano, si uniscono in una sola: la Passione. Un dolore violentato che si dirama nella corsa disperata di Giuda verso l’impiccagione, nel pianto umiliato di Pietro che ha appena tradito (turisti stranieri gli hanno chiesto tre volte se era un discepolo, e ha negato). Tutta la città spinge il condannato verso il Golgota: Marcello Fonte come Pilato non può che liberare Barabba, e la crocefissione avviene. Dove, quando? Gli astanti fungono da specchio e da schermo: noi seguiamo le fasi atroci nelle loro espressioni, negli occhi sbarrati, nelle bocche mute. Eppure li vediamo usare i cellulari, fare filmati: cosa, e dove, quando, succede? Impossibile dirlo: in fondo, grida il sacerdote, Cristo è qui, ora, sempre.
The new Gospel: cosa abbiamo visto?
Ci si chiede, alla fine, cosa abbiamo visto. Ci interroghiamo sull’ampiezza del gesto artistico che abbiamo testimoniato. Su quanto l’arte riceva dalla realtà, su quanto sappia contaminarla, o renderla eterna, o negarla. Su quanto la realtà riceva dall’arte, che può modificarla, incidendo vertiginosamente, molto più di altri canali. Su quanto abbia ancora senso una divisione fra modi d’arte e vari media, e addirittura su quanto abbia senso pensare ancora a un mondo reale non permeabile dalla sua artistica riproduzione, o mutazione. L’infinito regalo della ricerca di Milo Rau è questo: una nuova percezione del mondo. Ero diventato per me stesso un grande enigma, scrisse Sant’Agostino il minuto prima della conversione. E fu una grazia: anche opere come questa lo sono.