GERMANIA. ROMISCHER KOMPLEX @Theater an der Ruhr: Anagoor di tempi e di confini

Anagoor ricrea uno dei suoi impalpabili e ferrei spettacoli su un testo composito, che annovera una vera orchestra di voci (Tacito, Antonella Anedda, Durs Grunbein, Frank Bidart) per mettere in scena il suo Germania. Romischer Komplex insieme al Theater an der Ruhr, a Mulheim. Un vertiginoso accostamento di fasci spazio temporali, di memoria e profezia, per misurare, in acrobazia, quale sia, e quanto doloroso, a oggi, ‘lo stato dell’arte’.   

LA STORIA DELL’IMPERO ROMANO NEL CAPOLAVORO FILOSOFICO DI ANAGOOR

Germania. Romischer Komplex, la seconda produzione eseguita per il Theater an der Ruhr da Simone Derai e dal suo sodalizio, il gruppo Anagoor, va in scena in questi giorni a Mulheim. Coerente col linguaggio performativo di un gruppo che ha fatto del montaggio ekfrastico una propria cifra, la performance si regge su accostamenti sottili e su un infra-testo che, nella sua stessa immobilità,  sembra sempre indicibilmente vibrare, tremare. Le ossa del lavoro, la traccia, lo scheletro, sono composte dalle opere di Tacito, la Germania, testo etnografico sulle popolazioni da sempre ostili ai Romani, e gli Annales, con la descrizione della rovinosa sconfitta di Teutoburgo per la quale, si racconta, Augusto pianse. Marco Menegoni, luminoso in zafferano e arancione, dà per primo voce, in italiano, ad un monologo descrittivo del pre/concetto sul barbaro, il diverso, segnato anche fisicamente dalla de-formitas (“un corpo grande e forte, da gigante”) lontano dalla coerenza, dalla civiltà, dalle regole del comportamento sociale . Agli occhi di un Romano barbari, selvaggi, capaci di profanare la morte eroica dei legionari sconfitti in un vero e proprio macello, adeguato del resto a una terra orribile, tremenda, ricoperta di “querce mostruose”, in sintesi incomprensibile. Bernhard Glose, tingendosi il corpo del blu e verde del guado, la tintura usata dai Germani che terrorizzava gli avversari, riecheggia in tedesco il monologo dell’avversario, virandolo però al punto di vista dei Germani: tutto è spiegabile, tutto comprensibile, basterebbe superare il confine sottile di ciò che ci rimane diverso, inintelligibile, lontano. Due attori eccelsi rilanciano un solo monologo con variazioni, ma con allusioni interpretative completamente diverse: l’oratoria luminosa e formale, solare, di Marco Menegoni, il brontolio viscerale di Bernhard Glose che fluisce verso simboli decifrabili e segreti, la pelle di lupo, le fronde, l’accovacciarsi finale che nega e insieme contraddice la verticalità esibita dell’avversario. Fra i due monologhi si situa, in video, il capolavoro costituito dalla scena in cui Augusto, anziano, riceve la testa mozzata di Varo. Non solo un capolavoro costruito sulla splendida bravura degli attori e sul pathos indiscutibile della scena. Un capolavoro filosofico, invece, in cui il tempo rallenta con infinita angoscia, si sospende, rivela la sua indiscutibile essenza di attimo, sublimata dalla chiusura rigida della maschera d’oro del potere che si serra sul volto angosciato dell’imperatore: mentre sullo sfondo i veli neri delle aristocratiche presenti, e di Livia, si gonfiano come vele, perché la storia si sposta in venti soavi e crudeli, capaci di essere visibili quando gonfiano la veste dell’attrice sul fondo con le volute della Ninfa di Warburg, passaggio e permanenza del nostro essere al mondo.

GERMANIA, ROMISCHER KOMPLEX: I CONFINI DELLA STORIA NON SI ANNULLANO

Ma se il vento non smette mai di soffiare cambiamento sulla storia, le ossa bianche costellano la terra. Le spolvera l’archeologa, Simone Thoma, ricostruendo un massacro non classificabile – potrebbe avvenire dovunque, o essere avvenuto, perché “il sangue stinge nell’acqua del mare/ l’intelligenza di cui facciamo vanto/ risputa il passato nel presente”. Il lungo monologo gioca con le dimensioni temporali, evoca il passato, quando un massacro avvenne, libera e sprigiona le riletture, le parole di altri, Antonella Anedda, la cui poesia scandisce la “forma lapidaria” dello storico latino, Durs Grunbein, Frank Bidart, profetico del procedimento che qui ammiriamo (“sono tornato qui mille volte,/ anche se la storia non sa indicarci il luogo esatto”). Perché la storia è un pendolo che si sprigiona e ritorna, una grandezza lineare, sì, ma anche memoriale, un confine che produce altri confini. Ce lo insegna Roberto Ciulli che incarna in sé la possibilità, attuata, di superare il limes, la migrazione dolorosa, la sua storia, quando si trasferì in Germania e dovette ricostruire se stesso, la lingua, la mente, la cultura. Dovette vivere sulla sua pelle la lacerazione dei due fratelli germani sulle sponde opposte della Weser: qui la mettono in scena Marco Menegoni, in tedesco, Bernhard Glose, in latino, in un antifonario potente di dolore. Una battaglia, come la strage di Teutoburgo, che finalmente ci viene raccontata. Un serpente di dolore senza senso. Un mistero di sangue. Possiamo superarla? Possono farlo la storia, il tempo?  Il video finale ci mostra oggi la selva, il luogo del ricordo e della strage, popolata da contemporanei ignari che ne scalano i pendii scivolosi, percorsa da cani privi di guinzaglio e felici della loro corsa libera ma ancora, segretamente, abitata dal Germano tinto di guado che ne alita lo spirito, quello vero, quello magico, l’altro. I confini non si annullano, forse si nascondono, ma scavano cesure profonde che non sono portatrici di odio, ma solo disegni segreti, vestigia di genius loci che non possiamo ignorare: il loro susseguirsi nella storia ne costituisce appunto l’essenza.

IL DOLORE EVOCATO NEL MINIMALISMO DI ANAGOOR

Lo spettacolo, estremamente minimalista, si costruisce su un niente scenico che è veramente tutto. I colori parlanti costruiscono una scenografia corposa, come i pochi oggetti che scatenano vortici di connessioni, dalla pelle di lupo alle fronde al vaso/sepolcro. La disposizione geometrica e nuda si insinua nella complessa regia sonora di rumori, sospiri, suggerimenti fonici che tesse una cupola di suggestione intorno a una drammaturgia di immobilità e di evocazione infinita. La complessità del testo, così rarefatto, è difficilmente esemplificabile. Oltre ai temi di fondo del gruppo, la molteplicità del linguaggio, il gioco ekfrastico di alcune scene, il lavoro gestito su Tacito e sui suoi riscrittori è magistrale. Il testo degli Annales non viene solo restituito dal monologo di Simone Thoma, ma viene sottilmente drammatizzato. Tacito non ci racconta la battaglia di Teutoburgo: per conoscerla dobbiamo rifarci ad altre fonti. Costruisce una drammatica situazione in cui Germanico, sei anni dopo, è sottoposto alla perturbante esperienza di farsi spettatore di ciò che rimane del massacro: il campo di battaglia cosparso di ossa infrante, i teschi inchiodati ai tronchi, i vari luoghi deputati, una specie di performance dell’orrore – in cui veramente non succede niente, perché tutto è già successo. Eppure l’orrore ci cavalca, ci sconvolge. La memoria ci scrolla con violenza, la memoria del paesaggio, quella orrorifica dei resti, quella della narrazione poetica. Una memoria emotiva e profetica ci fa rabbrividire. Noi come Germanico allora. Il passato si fa eco del futuro, i fasci temporali si incrociano, si incrociavano già nel testo latino e ancor più lo fanno adesso: da un passato remoto in cui lo scontro tra Germani e Romani ha luogo, a molti domani fino al nostro ieri e al nostro oggi. E se i testi letterari sono conchiglie magiche per riecheggiare la curatrice “forma lapidaria” dello storico latino, ancora di più lo è il contenitore performativo, che stringe insieme il fascio di fulmini ieri oggi domani, avvenimento memoria profezia, come i tre microfoni che l’attrice abbraccia in un gesto infinitamente metaforico. La tentazione ekfrastica di Anagoor è qui ancora più sottile e sublime del solito: siamo noi a contemplare un bassorilievo di carne che ci parla del punto più alto e di quello più basso del nostro vivere. Il più basso, l’orrore. Il più alto, l’artista, che con Calvino sembra invitarci: vieni da me, che ho la mano sicura.

GERMANIA. ROMISCHER KOMPLEX
Anagoor e Theater an der Ruhr

regia Simone Derai
drammaturgia Simone Derai, Paola Barbon, Patrizia Vercesi
musica Mauro Martinuz
in scena Roberto Ciulli, Simone Thoma, Bernhard Glose, Marco Menegoni

Mulheim, 5 e 6 marzo 2022
Visto in video

image_pdfSCARICA QUESTO ARTICOLO IN FORMATO PDF