Una scoperta casuale e inattesa nella cittadina marchigiana di Porto Recanati di antiche tradizioni dal sapore genuino relative al mondo della Piccola Pesca che va salvaguardata con orgoglio, dignità e la certezza di offrire valori che vanno scomparendo nel nome di vacanze alla moda e chic.
L’attuale turismo convulso, infatti, tende a trasferire il caos cittadino nelle più tranquille località di vacanza (siano esse marine o montane) rendendo le città deserte, tranquille e godibili non solo per i fantasmi (che normalmente le evitano come il diavolo l’acqua santa) e raramente risparmia le tradizioni omologando tutto e tutti in nome di una modernità fatta di confusione, trambusto, discoteche, movida, supertecnologia, code ai ristoranti… insomma si ricrea il clima frenetico del quotidiano ‘ubriaco’ di rumori e stimoli e povero di pensieri autonomi e di valori in nome dell’apparire piuttosto che dell’essere.
Può però succedere che un insieme di eventi preservi alcune località dall’omologazione totale conservando al loro interno frammenti preziosi di un passato che difende la propria dignità come avviene a Porto Recanati dove antico (anche se qualche volta così sorpassato da ricordare “le buone cose di pessimo gusto” di gozzaniana memoria) e moderno giocano a rimpiattino a cominciare dall’architettura delle case e dagli arredi dei loro interni.
Se a grandi linee la storia di questa cittadina, pur essendo forse il territorio abitato dall’età del Bronzo, risale al XIII secolo quando l’imperatore Federico II di Svevia dona a Recanati il litorale incluso tra i fiumi Aspio e Potenza (anticamente Flosis) con il diritto di costruire un porto, non bisogna dimenticare che nel medesimo luogo i Romani nel 184 a. C. hanno fondato Potentia che decade per le invasioni barbariche, la guerra greco-gotica e il successivo arrivo dei Longobardi: una parte della popolazione fuggita sulle alture avrebbe dato origine al nucleo di Monte Santo che dal 1862 si chiama Potenza Picena.
L’approdo recanatese è dotato di un castello svevo fortificato nei secoli, ma più volte violato da Saraceni e Turchi: drammatico nel 1518 l’assalto di questi ultimi pare facilitato da un tradimento. Nell’abitato sono sorti edifici religiosi legati anche al culto della Madonna di Loreto e il borgo di Porto Recanati nei secoli costruisce una sua fisionomia tanto che nel 1893 diviene comune autonomo con decreto firmato dal re Umberto I.
Se la speranza di costruirvi un porto rimane malgrado numerosi tentativi un sogno nel cassetto, resta sempre fondamentale il legame con il mare testimoniato dall’importante presenza di pescatori le cui modeste piccole case allineate lungo la riva e colorate in modo da poterle riconoscere dal mare comprendono una stanza-magazzino per remi, reti, vele, ancora, pescato… un ambiente-cucina e una stanza da letto al piano superiore: oggi quasi tutte sono state ristrutturate da figli e nipoti di pescatori che sono rimasti in numero esiguo e hanno le loro motobarche lungo quella che è diventata una piacevole passeggiata pedonale su cui si affacciano numerosi “balneari”.
Mentre nel passato tali stabilimenti erano generalmente gestiti dalle mogli dei pescatori le quali si trovavano ad esercitare un mestiere ‘semplice’, oggi alcuni gestori soprattutto se provengono dall’interno hanno atteggiamenti spocchiosi da imprenditori parvenu: non bastano, infatti, i colori del cielo e delle nuvole degli ombrelloni a trasmettere il profumo dell’autenticità e della schiettezza di molti portorecanatesi ab antiquo, eredi di famiglie di pescatori o spiritualmente integratisi pur se ‘stranieri’ grazie a intelligenza, sensibilità e savoir faire.
Porto Recanati non termina tuttavia con le case che si trovano di fronte alla spiaggia dove arrivano le motobarche da pesca, ultimo retaggio di un passato eroico, ma continua nello spazio sempre più stretto tra mare e ferrovia con una mega-costruzione ad àncora connotata da grandi oblò e chiamata “Paradiso azzurro” che non si è rivelata tale per l’imprenditore che l’ha costruita come incipit di più importanti progetti mai portati a termine per il suo fallimento e con una serie di fabbricati più recenti (anche questi con analogo epilogo) che occupano l’area dell’ex stabilimento Montecatini (poi Montedison dagli anni ’60) e che ricordano cromaticamente quelli più antichi e dai colori diversi dei pescatori.
La passeggiata cittadina finisce con una struttura degradata, retaggio della Montecatini, che tante polemiche e chiacchiere continua a suscitare tra denigratori che mal sopportano lo scheletro ormai fatiscente considerandolo una bruttura con in più, secondo alcuni, la presenza di amianto (di cui percentuale e rischi non sono così chiari) ed estimatori che, al di là dell’attribuzione al celebre architetto Nervi (cui si devono numerosi edifici industriali firmati), vedono nell’armatura di questo magazzino a copertura parabolica dalle maestose nervate in cemento armato un’espressione di equilibrio tra funzionalità ed estetica e un esempio di archeologia industriale da recuperare a tutti i costi essendo un pezzo di storia e memoria del tempo che fu e della vita di molti portorecanatesi cui tale industria ha dato un’esistenza migliore.
Attualmente è diventata ricovero per una miriade di gabbiani tanto che ha assunto l’appellativo di “cattedrale dei gabbiani”.
Il mare è dunque l’anima e il soffio di questa cittadina rivierasca timida e riservata dove ancora molti – come forse succedeva nel passato – vivono, mangiano e chiacchierano sulla passeggiata e non li tange il vedere transitare i numerosi turisti (molti provenienti da zone limitrofe, altri dal resto dell’Italia oltre a stranieri alla ricerca del non banale) o locali di cui moltissimi in compagnia di educatissimi cani. È divertente osservare gli approcci fra varie tipologie e caratteri di animali ciascuno con il proprio spiccato senso del territorio: non mancherebbe materia per farne ritratti esilaranti!
La vera sorpresa è vedere al mattino verso le 8/9 aprirsi alcuni banchetti dove parenti di pescatori se non loro stessi vendono il pescato anche e soprattutto nel mese di agosto quando è in atto il ‘fermo pesca’ riguardante i motopescherecci (numerosi turisti non sanno che le coste del Tirreno e dell’Adriatico sono da molti lustri interessate a fasi alterne dal blocco della pesca), divieto che tuttavia non riguarda la Piccola Pesca Marittima effettuata da imbarcazioni non superiori alle 10 tonnellate di stazza lorda con una limitazione nella navigazione di alcune miglia dalla costa.
Pur sapendo dell’esistenza di tale comparto che restituisce il senso della vita del passato più dei grandi pescherecci ipertecnologici, tuttavia si passa veloci accanto e si dà uno sguardo fugace a questo brandello di storia anche per il timore di ‘perdere’ tempo e di non usufruire il più possibile della spiaggia.
Ci sono volute una giornata estiva con il mare agitato che impedisce una balneazione sicura e una certa idiosincrasia ad ‘arrostire’ al sole per decidere di vagare sulla spiaggia alla ricerca del perché in una stretta area prospiciente al mare si trovi ogni giorno una così alta concentrazione di gabbiani ‘starnazzanti’ che lasciata la loro ‘magione industriale’ popolano i tetti delle case prospicienti, la spiaggia stessa e il mare antistante.
Di notte c’è stata burrasca, e una motobarca è uscita verso le 8 del mattino (normalmente parte verso le 3.30 e ritorna intorno alle 6.30) per cui nessuna meraviglia se causa maltempo è tornata verso le 10 ed ora ecco i nostri eroi intorno alla barca Camillo padre, pescatori che si riparano dai dardi solari sotto un telone e lavorano alacremente per tirare fuori dalle reti il pescato mentre assistono alle operazioni un cane bianco che saggiamente si accuccia all’ombra dello scafo, alcuni curiosi e una serie di ‘clienti fissi’: i gabbiani cui durante il certosino lavoro di liberare le reti vengono buttati piccoli pesci et similia e che si rivelano preziosi spazzini a titolo quasi gratuito…
Il clima è simpatico e piacevole e piano piano si conoscono i protagonisti: Camillo Bufarini il capo, a sua volta figlio di pescatori, dal carattere schivo, riservato e poco restio a farsi distrarre, Domenico il figliolo, unico maschio della famiglia (in verità ha tre sorelle e il marito di una di loro lavora nel gruppo: è quello che prudentemente martella i granchi affinché non lo mordano, Domenico invece li blocca con le sue grosse mani con l’accompagnamento di qualche ‘benedizione’), un bel ragazzone dal carattere allegro e socievole e il citato cognato gentile, ma che non stacca gli occhi dal lavoro… una scena da filmare con la memoria anche quando arriva con rifornimenti di bevande energizzanti la moglie di Camillo e mamma di Domenico, una bella signora bruna dal piglio sicuro e forte (degna di tutte le matriarche delle famiglie marinare di Porto Recanati), ma – come dice il figlio – sempre discreta e attenta a rispettare il carattere di tutti…
Camillo è sulla breccia dal 1972 e Domenico ufficialmente dal 1996 cioè da quando aveva sedici anni anche se – come racconta – già dai dieci anni aiuta il padre tirando una rete di 50 metri che “Babbo metteva per me” tanto che a 12 anni una mattina d’estate verso le 5 la Capitaneria di Civitanova infligge un verbale con due milioni (siamo ancora ai tempi delle lire…) di multa per tale attività, ma il giovane orgoglioso non recede: più amante del mare che degli studi, dopo la terza media decide di seguire le orme paterne perché si sente portato, gli piace, ama appassionatamente il suo lavoro e cerca sempre di migliorare per essere il primo soprattutto con se stesso: come tempra ed entusiasmo non c’è male per un giovane trentottenne!
Un esempio e una speranza che la fame di guadagni facili e di denaro non dilaghi in modo esponenziale in questa cittadina dove già molti durante la stagione estiva e non solo richiedono più di quanto i servizi offrano sperando di trasformarla in un centro spremi-denaro alla moda.
Questo brandello di spiaggia – che in alcuni momenti della notte sarà pur vociante di gente che lavora (in mare la voce non può essere sussurrata come negli uffici…) – è la vera scoperta delle radici ancora vive e pulsanti di Porto Recanati grazie alle sue tredici motobarche attive d’estate e sei in inverno (perché, come afferma Domenico, alcuni pescatori sono un po’ avanti con gli anni) e rappresenta l’area assegnata loro dal Comune. Nel passato, invece, le motobarche si trovavano di fronte a Piazza Europa in fondo a Porto Recanati mentre d’inverno stazionavano al centro della cittadina per fruire del riparo fornito dalle scogliere ‘rinforzate’: le violente mareggiate dell’inverno sono sempre state un problema tanto che sono stati costruiti vari ‘pennelli’, scogliere… per evitare finalmente che il mare arrivi fino alle case.
Uno scorcio di passato da tenere vivo educando al riguardo le giovani generazioni non solo attraverso musei che ricordino mestieri antichi, ma conservando ed aiutando a conservare questi meravigliosi retaggi del passato: fare il pescatore oggi è un privilegio che rende la vita più sana, bella, onesta e varia (anche se un po’ più impegnativa, ma si sa che le comodità… dopo un po’ annoiano) almeno rispetto alla routine di chi lavora in ufficio e poi come afferma Domenico “se si lavora bene, con il mio mestiere si può vivere dignitosamente”!
Non resta che mangiare il pesce portorecanatese fresco e di questo si è totalmente certi al Diavolo del brodetto, ristorante semplice, autentico, per niente snob e di antica tradizione dei fratelli Giri: Giuseppe in cucina che cuoce in modo sano, appetitoso e digeribile alcuni piatti che è un peccato grave non degustare come il pesce arrosto, il famoso brodetto portorecanatese e altre poche specialità tipiche e Piera in sala, anche lei una donna di tempra e di carattere, ma di grande cuore: chi volesse evitare di peccare deve però assolutamente prenotare e non se ne pentirà!