Non è facile fare un’intervista ad Elena Arvigo. Appena uscita dallo spettacolo, è già circondata dal pubblico. Ha avuto un pubblico molto attento la sera del 25 giugno 2016, sulle scarne panche nere del Teatro Argot, in scena per la SCENA SENSIBILE.
Uno spettacolo serio, drammatico e impegnativo, come solo può essere un monospettacolo intitolato “MONOLOGHI DELL'ATOMICA” (scopri la Pagina FB) che riprende le testimonianze delle persone sopravvissute alle catastrofi nucleari di Cernobyl e Nagasaki. “Donna, bambino e soldato,” spiega l'attrice a uno degli spettatori che la tempestano di domande. “Tre figure che in queste catastrofi sono rimaste sotto”.
Ma lo spettacolo non parla solo della (terribile) morte e del dolore (a volte insopportabile). Solleva grandi questioni etiche, come la responsabilità delle autorità che oscurano il pericolo per la popolazione, o degli scienziati che si giustificano per la promessa di sganciare su un popolo la pioggia di bombe atomiche, o anche di una donna che, pur di condividere con il marito, inviato a spegnere l'incendio della centrale atomica e colpito da una dose mortale di radiazione, i suoi ultimi giorni si scorda dei rischi e così perde il loro bambino che doveva nascere. È nella tragedia disumana che emerge con la maggior forza l'Amore.
Elena Arvigo tratta il tema con fermezza e delicatezza, unendo alla rabbia e all'indignazione la profonda umanità e la dolcezza della tenera ironia. E mentre il pubblico che circonda l'attrice nel cortile antistante il piccolo teatro è ancora un po’ immobilizzato e scosso dopo uno spettacolo dalla sua violenta e vigorosa potenza morale, lei in un colpo d'occhio si trasforma in una fanciulla briosa che con effervescente entusiasmo trascina il vostro giornalista per il polso nei camerini, “perché solo così potremo parlare!”
Cominciamo a parlare mentre lei carica nell'enorme zaino gli oggetti che le sono serviti durante lo spettacolo, i costumi e la maschera… quella antigas. Ecco, con la mia prima domanda non posso non ritornare allo spettacolo appena visto e che mi ha lasciato ancora un forte impatto.
Riva Evisteefa (R.E.): Lo spazio di Teatro Argot è molto particolare, molto piccolo, ma permette di vedere i volti degli spettatori. Come è stato per Lei lavorarci?
Elena Arvigo (E.A.): Per me vedere le persone è sempre una grande compagnia, mi piace molto instaurare il contatto visivo con il pubblico. Non mi disturba, a meno che non ci siano i disturbatori. Soprattutto in questi spettacoli che se non sono proprio di narrazione, c'è comunque una testimonianza forte. Si parla con qualcuno, alcune volte vedere degli occhi dà molta forza. Mi piace il pubblico!
R.E.: “Il pubblico italiano di cosa ha bisogno adesso?”
E.A. Considerando di far parte del pubblico anch'io – magari un pubblico un po’ specializzato– posso dire che uno spettacolo è il tempo che io dedico a qualcosa, e dato che il tempo è poco, mi piace qualcosa che mi faccia sognare, che mi faccia sperare, che mi faccia riflettere, pensare, sentire. È quello che io chiedo quando vado al cinema o a teatro. Mi piace quando tutti i miei sensi sono coinvolti. E poi, la bellezza credo sia sempre necessaria. Quella dei “MONOLOGHI DELL'ATOMICA” è una storia triste, però in realtà molto bella, soprattutto la prima che è una storia d'amore. Sono storie che aiutano a dare il valore alle cose che abbiamo. Perché quello che abbiamo non è così scontato. Quello che abbiamo è prezioso.
R.E. Perché la scelta di disporre questi monologhi in modo da iniziare con quelli che anche da punto di vista scenico sono più complessi, con i movimenti, con il coinvolgimento degli oggetti, mentre l'ultimo è così ascetico, così semplice?
E.A. Mi sembrava che il racconto su Nagasaki è più universale, più epico. Parto dal particolare. La prima storia soprattutto è una storia piccola, ha un nome e un cognome: Kyoko Hayashi: è un testimone, la sua storia ha anche dei numeri di cui lei parla. Mi sembrava più interessante andare dal particolare all'universale. Anche la sua frase con cui finisce lo spettacolo, “Come è il cielo lì da voi?”, rimanda a una responsabilità collettiva. Mentre nella prima è come se da un buco della serratura riuscissimo a vedere quel che è successo nella casa della moglie del pompiere, che cosa è successo con lui. Poi ascoltiamo un bambino, ascoltiamo un soldato e dopo andiamo dentro la tragedia anche proprio etica, perché ha dei numeri etici. Quando cominciamo a parlare di 200 000 persone morte all'istante, diventa un'altra cosa. Diventa anche informativo. Ed è giusto che lo sia. Di ÄŒernobyl invece non do informazioni, la vivo proprio dal punto di vista della persona.
R.E. Perché parlare di questo tema oggi in Italia?
E.A. È una cosa di cui non si parla, una cosa importante. Come dice la stessa Svetlana Aleksievic, “mi sembrava di parlare del passato, invece prendo note per il futuro”. Il nucleare è il nostro futuro, che lo vogliamo o no. Ed è anche il nostro presente, perché non è che i confini degli stati definiscano i confini nel cielo. Ma non c'è nessun interesse che la gente ne parli. Perché tanto, non abbiamo scelta e quindi come se fosse inutile parlarne. Invece, secondo me è importante andare a rileggere la storia. Per me stessa ÄŒernobyl era una cosa fatta, finita. Quando le notizie diventano vecchie, a noi i problemi sembrano risolti. Invece no, il cesio, per esempio, ci mette 300 anni a decomporsi, non trenta. È tutto contaminato ancora adesso, ma per molti quello è diventato un problema risolto, come la nostra Aquila.
“Tutto risolto”, ma in realtà semplicemente non se ne parla più, la notizia non è fresca. Per questo è importante riparlarne.
Minuta e delicata, ma anche impavida e valorosa, la giovane donna aggiusta il grazioso abito nero e si carica sulla spalla lo zainone che sembra più grande di lei. Lascia il camerino e ritorna trionfante nel cortile dove viene di nuovo accolta dalla piccola folla attenta e grata.
Info:
Immagini tratte dalla Pagina FB dello Spettacolo
24, 25 e 26 giugno ore 21,00
MONOLOGHI DELL'ATOMICA
Dramma di e con Elena Arvigo,
testo ripreso dai racconti di Kyoko Hayashi e Svetlana Aleksievich.