Il 27 gennaio, il Giorno della Memoria, in diretta streaming sulle pagine Facebook di La Feltrinelli, Manni Editore e Pde, si è svolto un incontro/confronto tra Lia Tagliacozzo, autrice di “La generazione del deserto” edito proprio da Manni, e Paolo Berizzi, giornalista de La Repubblica e da anni autore di inchieste sul neofascismo, che hanno portato alla pubblicazione del volume “L’educazione di un fascista”, edito da Feltrinelli.
In questo articolo:
- A cosa servono i libri per la memoria?
- I fatti: Lia Tagliacozzo e l’attacco su Zoom
- La generazione del deserto: libro familiare e libro collettivo
- Educare alla memoria: la scuola e il cambiamento della sensibilità
- A cosa serve oggi la memoria?
A cosa servono i libri per la Memoria?
Il 27 gennaio è ormai entrato nei nostri calendari come il Giorno della Memoria, in cui si ricorda la liberazione del campo di sterminio di Auschwitz. Ogni anno manifestazioni di varia natura si susseguono e sono coinvolti a pieno titolo tutti i mezzi di comunicazione e i luoghi istituzionali e non. In libreria ogni anno è possibile trovare, oltre a titoli ormai entrati nella nostra cultura comune (Primo Levi, Anna Frank), nuovi volumi che parlano della Shoa sotto forme diverse, dal romanzo alla biografia, dalle memorie ai saggi.
Ogni anno, attraverso il contributo essenziale dell’editoria, si riannoda un filo, quello della memoria, necessario per non spezzare un racconto che ha segnato e cambiato il nostro senso civico e la nostra cultura; un filo per ribadire con forza la necessità di ricordare, soprattutto oggi alla luce di un clima che sembra favorire, anche solo per processo di sminuimento o indifferenza, la formazione di gruppi neonazisti e neofascisti in un crescendo di odio e falsità.
I fatti: Lia Tagliacozzo e l’attacco su Zoom
I fatti di questi ultimi mesi, dalle aggressioni xenofobe alle manifestazioni nere, ne sono la prova e la stessa Lia Tagliacozzo ne è stata purtroppo vittima.
Durante la presentazione del suo “La generazione del deserto”, organizzata su piattaforma online dall’Istituto piemontese per la Storia della Resistenza, un gruppo organizzato di persone con profili falsi hanno attaccato e bloccato l’incontro.
La stessa Tagliacozzo racconta come tutto sia partito da una domanda – da quando i giudei hanno diritto a scrivere libri? – cui poi sono seguiti insulti, frasi razziste in una vera e propria azione squadrista, concertata in ogni minimo dettaglio. Chiara la presenza, dietro tutto questo, di una organizzazione scrupolosa.
Si rimane ancora più colpiti quando l’autrice ricorda con chiarezza come le voci fossero per lo più di giovani e non possiamo che essere d’accordo con lei quando afferma che questi non sono ragazzi sprovveduti o annoiati, meno che mai ingenui.
A sostenere questa tesi lo stesso Paolo Berizzi, che indaga nel mondo neofascista da anni e che sottolinea come questi episodi, che proliferano in Italia e nel resto del mondo, tutto siano tranne che folkloristici: sono, piuttosto, la testimonianza palpabile e concreta di un passato che non passa.
Ecco che allora diventa ancora più necessaria la testimonianza degli ultimi sopravvissuti e dei figli di chi è riuscito a tornare.
La generazione del deserto: libro familiare e libro collettivo
Lia Tagliacozzo è figlia di sopravvissuti: la sua famiglia, sia per parte di madre che per parte di padre, ha vissuto la Shoa e, prima ancora, le orride leggi razziali.
Ed è proprio la sua famiglia a essere protagonista di “La generazione del deserto”, un romanzo/testimonianza familiare ma anche e soprattutto storia collettiva, perché non basta raccontare il dolore di chi ha vissuto persecuzioni e torture, bisogna anche collocare queste vicende all’interno dell’epoca e ricordare come tutti ne furono coinvolti. Nel bene e nel male.
La vicenda della famiglia dell’autrice si divide infatti in due: da un lato la famiglia della madre, perseguitata sì, ma anche aiutata da un giusto che ha messo a repentaglio la sua stessa vita per aiutare. Dall’altro la famiglia del padre, letteralmente consegnata ai nazifascisti durante l’occupazione di Roma da un delatore, un infame.
La Shoa infatti non è solo vicenda degli ebrei, ma è una vicenda collettiva, di un Paese intero e oggi che la memoria si sta storicizzando con la morte dei superstiti il compito è mantenere questa memoria viva ma soprattutto creare nuova consapevolezza rispetto a un secolo, il XX, breve ma complesso.
Lia Tagliacozzo afferma che portare a galla il dolore, uscendo da quel silenzio che molti sopravvissuti hanno mantenuto per anni prima di trovare la forza di testimoniare, serve a creare gli anticorpi contro i nuovi fenomeni antisemiti, razzisti che la nostra società sta vivendo.
Educare alla memoria: la scuola e il cambiamento della sensibilità
Uscire allo scoperto è stato per i sopravvissuti (pensiamo a Liliana Segre, Sami Modiano, Piero Terracina e tutti gli altri) molto doloroso. Il silenzio per loro è stato un modo per proteggere se stessi mentre cercavano di ricostruirsi ma anche proteggere chi era loro vicino.
Ma nel momento in cui hanno iniziato a parlare, a raccontare sono diventati parte attiva di un cambiamento della società. Il primo grande terreno per coltivare questa consapevolezza cambiata è stata certamente la scuola, dove fino a pochi anni fa, come ricorda Tagliacozzo stessa, c’era una sensibilità diversa, protesa alla scelta del bene e consapevole dell’errore del passato.
Oggi invece qualcosa sta cambiando.
L’autrice infatti sottolinea come nelle scuole dove racconta la sua storia, i ragazzi e i bambini oggi alla domanda “chi vorreste essere, il giusto o l’infame?”, ci sia una incertezza, ci si domanda quale prezzo si debba pagare per essere un giusto. Per questo bisogna continuare a educare, perché è in questa incertezza che certe idee possono trovare terreno.
A cosa serve oggi la memoria?
Bisogna usare le parole, continuare a raccontare e ricordare perché siamo sempre più immersi in un linguaggio di odio che viene legittimato anche e troppo spesso dalla politica.
È un linguaggio comodo, a presa diretta che ha effetti pericolosi e che continua ad avere gli stessi obiettivi: ebrei, immigrati, omosessuali, donne. Una continuità con il passato che lascia esterrefatti.
La Shoa per come è stata non può tornare, e di questo sia Tagliacozzo che Berizzi sono convinti, ma le parole di odio ereditate possono fare ancora oggi danni terribili e per questo la memoria è l’antidoto prezioso contro i fascismi, contro l’antisemitismo e ogni forma di discriminazione.
La memoria non riguarda un giorno solo, ma è un lavoro indefesso e quotidiano che coinvolge tutti, a prescindere dalle idee politiche. Riguarda tutti noi, in quanto cittadini attivi e consapevoli.
Oggi la Memoria è ricordare per interrogarsi sul presente, non per piangere ma per affermare il diritto alla vita ed è per questo che tutti siamo chiamati a rimboccarci le maniche, nel privato come nel pubblico.