KONTAMINAZIONI al Felt Music Club

In un locale di nicchia come il Felt Music Club, in cui si è respirata da subito un’aria latina e all’avanguardia, domenica 14 febbraio Riccardo Ascani & Flamenco Jazz Chillout Quartet, nonché Quentin Gas in collaborazione con Jorge Mesa, hanno affascinato il pubblico nelle loro sonorità ispaniche, autentiche e innovative, in due originalissime interpretazioni della cultura musicale flamenca e gitana.

A dare il via alle “musiche” (perché di danze si sentiva necessariamente una certa mancanza) sono state le composizioni del “poeta della chitarra flamenca” Riccardo Ascani, i brani del suo ultimo lavoro, l’album “Oceani”. In collaborazione con Antonio Aucello ai sassofoni, Roberto Ippoliti alla chitarra flamenca e Attilio Celona a percussioni e sequencer commander, la chitarra di Ascani ha raccontato il mare, in un viaggio molto descrittivo di tutti i colori dei tre oceani del mondo. Dal mare dei sogni caraibici, a quello terribile sollevato in tempesta dal “Mistral”, al mare mitologico di “Atlantide” e quello di Ulisse ammaliato dai “Cuentos de la Sirena”, le coste arabe del “Red Sea” e le acque solitarie degli ultimi esemplari braccati delle grandi balene. Una musica che trae molto del suo stile dalla conoscenza sapiente della matrice flamenca e jazz, una contaminazione che viene sempre più esplorata da pochi eccelsi interpreti di entrambi i generi, ma in un risultato nuovissimo che ha come intento quello di raccontare la natura del mare. Una musica d’ambiente che affida il canto delle onde alla lirica solista della chitarra di Ascani e a quella dello straordinario sassofonista del quartetto. Così sembra di sentire nelle profondità il canto delle balene che riecheggia nella voce di un sax soprano, e in superficie l’incresparsi delle onde negli arabeschi virtuosismi della chitarra.

Tempo di riordinare il palco con gli strumenti, e direttamente dalla flamenca madre terra Siviglia, compare sulla scena Quintin Vargas, in arte Quentin Gas. Presentandosi sul palco con una giubba rossa, che ricorda una copertina di un album dei Beatles, e una t-shirt in memoria del compianto David Bowie, col suo lavoro “BIG SUR” inciso nostalgicamente su vinile, Quentin ci ha regalato il suo rock.
Si può parlare della sua musica come una rottura degli schemi, sebbene conservando ancora le radici gitane che gli scorrono nelle vene, e ce lo conferma lui stesso nel brano “Zingaro”: -I’m Gypsy (…) when I was inside my mom/ I was feeling how she dance-… ma la sua identità, le sue radici, la sua nostalgia scivolano in un canto di dolore che dalla malinconia sfocia in una sofferenza senza regole, e sfocia nel rock.
Assistiamo al suo personaggio che batte insistentemente i tacchi inesistenti di scarpe “Converse”, in un flamenco che viene a mancare, ma viene a mancare in favore delle divampanti sonorità rock della sua chitarra, le quali sembrano sperimentare una sorta di “grunge ispanico” che accompagna la sua voce disperata. A sostenerlo la mano ferma del batterista Jorge Mesa che spesso deve farsi sentire a doppia bacchetta sui tamburi, a sostenerlo sì, perché a volte Quentin si lancia tanto che rischia di vacillare, se non fosse per l’energia del rock che tiene in piedi chiunque.

Finché non arriva il magico momento in cui sul palco avanza la maestra di flamenco Caterina Costa, colei che, tra l’altro, ha permesso la realizzazione del concerto, e la mancanza di danze che si era sentita fin dall’inizio della serata viene soddisfatta in pochi preziosi istanti durante i quali il rock di Quentin Gas si ricongiunge con le sue origini. Ma è un ritorno breve dal quale la musica ricomincia a prendere distanza, una distanza che separa Quentin dalla condivisione, nella solitudine, e ci conduce verso la fine di “Big Sur”: “Everything comes and everything goes away/ sometimes love is not enough, but tonight i feel lonely (…)/ and you don’t know how does it feel,/ the darkness is mine”- (Le temps detruit tout, dal disco “Big Sur” di Quentin Gas y Los Zingaros).
Una fine in cui il rock getta ogni armonia nel caos musicale e termina con una chitarra “Fender” collegata ad un amplificatore distorto che, senza Quentin Gas ormai andatosene dal palco, viene abbandonato a suonare un unico suono lancinante, quasi un elettro-cardiogramma piatto che Jorge Mesa continua a tentare di accompagnare alla batteria, finchè giunge la fine.

L’evento vero e proprio termina, infine, con la vera e propria contaminazione: i due complessi di Quentin Gas e Riccardo Ascani si sono cimentati insieme in improvvisazione, e vedere due realtà così diverse, sebbene “familiari alla lontana”, realizzarsi estemporaneamente sul palco, ha dimostrato quanto in musica in fin dei conti ci si riscopre sempre uniti dall’amore per questa grande arte.

PROSSIMAMENTE al FELT MUSIC CLUB

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