Dal 15 al 23 Febbraio 2018, presso la Sala del Cenacolo del Complesso di Vicolo Valdina, alla Camera dei Deputati di Roma, la fotografa canadese Sheila McKinnon, espone in INVISIBLE LIGHT la sua visione su due importanti concetti per stimolare la riflessione e l’intervento: i diritti delle donne, soprattutto quello dell’istruzione, e l’urgente pericolo del cambiamento climatico.
Nella cornice emozionante della Sala del Cenacolo della Camera dei Deputati di Roma, la fotografa canadese Sheila McKinnon espone la sua interpretazione e sensibilità attraverso colori contrastanti e contrastati, particolari macroscopici rilucenti, interventi artistici di fotoritocco che sottolineano messaggi urgenti, quanto appassionati.
La mostra si compone di…. opere fotografiche di grande formato, collocate su paratie centrali alla sala e disposte a linea spezzata, per permettere ai visitatori di girare intorno ed osservarle con un ritmo simile agli scatti della macchina fotografica. Alcune di comprensione immediata altre che incuriosiscono per il messaggio intrinseco.
Dal desiderio di conoscenza stimolato da questi guizzi di colore ho deciso di chiedere direttamente all’artista fotografa il significato di alcune scelte e lei è stata squisitamente disponibile a concedermi un’intervista.
Paola: Gentile Sheila, lei ha sempre avuto questa sensibilità verso le donne e le persone in genere che vivono nei paesi sottosviluppati e in condizione di svantaggio culturale e sociale ed ha lavorato sempre in funzione della documentazione di questo divario di livello di vita. Come donna, ha avuto problemi a fare il suo lavoro in paesi come quelli che documenta con le fotografie?
Sheila: Mi è capitato, talvolta di dover affrontare delle diffidenze ma non sono mai stata veramente in pericolo, perché arrivavo in questi posti accompagnata dalle Organizzazioni Umanitarie per le quali lavoravo, come l’Unicef, la FAO, l’Aidos e dove loro già stavano creando dei progetti, tipo scuole o presidi sanitari. Forse in qualche paese, come ad esempio nello Yemen gli anziani erano restii ad autorizzarmi a fotografare, perché temevano che io, con la mia persona ed il mio stile di vita, potessi influenzare le loro donne ad intraprendere un’altra vita. E questo a dimostazione che le donne avevano poca libertà.
Oggi ho fiducia che le cose stiano cambiando, E sono sicura che questi movimenti e organizzazioni internazionali per le donne, riusciranno ad infiltrarsi anche nei paesi più tradizionalisti. Soltanto due o tre anni fa mi sono trovata a dichiarare in una conferenza stampa che si parlava molto della mancanza di diritti di tante minoranze, ma poco dei diritti delle donne ed invece in questi ultimi mesi ho notato che si è tornato a parlare a grande voce di questo argomento. E questa è una bella cosa, secondo me.
P.: Considerando il messaggio che intende diffondere, ritiene che la sua fotografia possa essere giudicata come sociale e documentaristica?
S.: Io spero proprio di no! Odio la parola documentaristica e ho sempre lottato contro questa interpretazione del mio lavoro, soprattutto quando cerco di creare delle immagini aumentandone l’intensità per accrescere la forza del messaggio.
Il mio intento è quello di fare il trait d’union tra una foto d’arte e una foto sociale e penso di poterlo fare. Non si deve sempre categorizzare la fotografia in un campo o nell’altro.
P.: C’è un limite oltre il quale questa manipolazione artistica manipola anche la denuncia? Lei ci mette il suo punto di vista, che è un punto di vista occidentale. Fino a dove questa interpretazione non influenza la persona che osserva la foto e la spinge magari ad impietosirsi?
S.: Io racconto, esprimo, e sto molto attenta a mantenere intatta la dignità e il valore di ogni persona che fotografo, rispettando e conservando integro il contesto intorno a loro.
Quello che cerco di fare è esattamente il contrario dell’impietosire; infatti per quanto riguarda le donne e le ragazze che fotografo, cerco di presentarle sottolineandone la dolce fierezza, per ribadire che hanno il diritto di scegliere quando sposarsi, quando fare figli, quanto e che tipo di istruzione avere.
P.: Si, certo. Sorge spontanea una domanda, però: fino a che punto il nostro concetto occidentale capitalista di emancipazione non va in contrasto poi con il problema del cambiamento delle condizioni climatiche del pianeta? Ossia noi che viviamo in una società dove inquiniamo e consumiamo troppo dobbiamo imparare a decrescere e loro invece ad acquisire più libertà individuale. Qual’è l’equilibrio tra le due esigenze?
S.: Ci sono persone che si rendono conto dell’assurdità del consumismo esagerato e poi ci sono quelle che vedono l’ingiustizia della povertà estrema.
Tra le battaglie necessarie per un ambiente migliore c’è anche il fatto dell’istruzione che io sottolineo e che non impone necessariamente una struttura capitalistica, anche se poi il rischio esiste, è chiaro, però non è inevitabile e trovo che finalmente gli americani si stiano sensibilizzando su questo e capendo che si può vivere con meno in generale. Per il momento questo movimento è debole ma esiste. L’efficienza e il non-spreco vanno mano nella mano verso l’energia alternativa per salvare l’aria, il mare e la terra.
P.: Le foto sul cambiamento climatico sono astratte e, infatti, a livello artistico molto gradevoli, ma forse mancano di immediata comprensione, a differenza di quelle sulle donne e quindi per leggerne il significato è necessario essere già informati sul fatto che quella bellezza riprodotta è in pericolo o si rischia di goderne solo l’estetica. Perché questa scelta?
S.: Perché quando mi hanno invitato a fare questa mostra ho arricchito il progetto, parlando più approfonditamente del discorso degli estremi del clima. In questo modo riuscivo a presentare un tema più urgente e soprattutto universale, per il quale siamo messi tutti sullo stesso piano di responsabilità e di disperazione. È un problema che riguarda tutti. Purtroppo per quanto riguarda il clima siamo lontani dal trovare un equilibrio perché coloro che si occupano e studiano questo problema non sono sufficientemente ascoltati dai governi e servono più leggi e una coscienza del problema a tutti i livelli, regionale e comunale.
P.: A questo proposito e data la scelta delle fotografie sull’ambiente non crede che sarebbe utile un opuscolo informativo che accompagni la parte artistica che stimola le emozioni e la riflessione a quella di presa di coscienza e d’informazione con la possibilità di documentarsi immediatamente?
S.: Si senz’altro! C’è tanto da raccontare sul discorso di sostenibilità e il secondo video, qui esposto alla mostra, racconta con parole semplici qualcosa sulle cause e sulle possibili soluzioni e anche dove cercare altri testi, per chi vuole saperne di più. Sul tema del cambiamento climatico si potrebbe raccontare per ore. Invece INVISIBLE LIGHT è, al momento, una semplice mostra visiva.
Comunque un testo importante è di un gruppo di professori e ricercatori dell’università di Bologna (www.energiaperlitalia.it) che tempo fa scrissero a vari ministri del governo uscente, per sollecitare l’urgenza di questa situazione. Ne hanno ottenuto la SEN – Strategia Energetica Nazionale, una serie di leggi guida per la transizione necessaria dai combustibili fossili all’energia verde – alla Green Energy.
Le leggi finora fatte sono troppo modeste, ma sono già qualcosa sulla quale costruire. Se il prossimo governo le ignora o non le adotta, o addirittura cerca di annullarle – ritorneremo al medioevo. Speriamo di no.
P.: È soddisfatta di questa esposizione?
S.: si, mi ritengo soddisfatta e spero che la mostra possa portare qualche goccia di consapevolezza e un po’ di attenzione a questo argomento.
Foto credit: allestimento mostra @ufficio stampa Caterina Falomo
Ingresso di PIAZZA di Campo Marzio, 42 – Roma
Ingresso libero