Intervista al Collettivo Planet Arts per TORRE ELETTRA in scena al Brancaccino

In scena a partire da oggi (19 gennaio) fino al 29 gennaio al teatro Brancaccino di Roma, TORRE ELETTRA, nuovo lavoro di Giancarlo Nicoletti, che abbiamo incontrato e intervistato già per fare il punto sui suoi precedenti lavori della Trilogia del Contemporaneo, recensiti da Gufetto. Raggiungiamo gli attori ed il regista per saperne di più sullo spettacolo, chiedendo alcune informazioni sui personaggi direttamente agli attori del Collettivo Planet Arts

Antonio Mazzuca (A.M.) – Oggi sarà in scena questo tuo nuovo lavoro, TORRE ELETTRA: da cosa nasce e di cosa parla?
Giancarlo Nicoletti (G.N) – Torre Elettra è una riscrittura del mito e della saga dell’Orestea, molto libera. L’obiettivo era – ed è – quello di ridare forza all’archetipo e, tramite la sua ri-appropriazione e declinazione entro le istanze contemporanee, liberare la forza con cui il nucleo classico può ancora parlare ai contemporanei. Avevo voglia di confrontarmi con un paradigma che fosse dotato del carattere di eternità, e il groviglio di passioni dell’Orestea mi sembrava un nucleo ideale. C’era, di interessante, il reiterarsi della complessità dei rapporti genitori/figli, che poi sono quelli fra le varie generazioni, dove la successiva vuole sostituirsi alla precedente, eliminandola in nome di una reazione a catena insita nello stato delle cose. E ancora, il problema della giustizia e della sua realizzazione effettiva, dei rapporti di sangue, dei suoi limiti e delle sue contraddizioni, della riparazione del torto e di quale sia il confine dell’autodeterminazione del singolo. In sostanza, la messa in discussione dei principi fondanti della democrazia occidentale, soprattutto in una fase in cui il sistema pare abbia fallito la sua missione originale, e stia dimostrando le proprie aporie. Ne è venuto fuori uno scenario, immaginario ma plausibile, di distacco fra i cittadini delle periferie e uno Stato democratico fallimentare e alla deriva, dove le rese dei conti di una saga familiare devono entrare in dialettica con i cardini del vivere civile, rimettendoli in discussione e rifondandoli.

A.M. – Come fonte di ispirazione citi Pasolini, Von Hoffmanstal, Sartre, ÒNeill, Icke, Marguerite Yourcenar. Per ognuno dimmi da quale loro suggestione sei partito.
G.N – Più che di fonti di ispirazione parlerei di fonti di contaminazione, o di confronto, di dialettica rispetto a una “cosa”, che è poi il nucleo di domande e riflessioni che il mito continua a porre ai contemporanei. Quindi ho “preso” in maniera molto libera, lasciandomi suggestionare, e in definitiva sono più le sensazioni ad essermi rimaste. Sono partito dai tragici, che rimangono insuperabili, e quindi dalla trilogia eschilea e dalle due Elettra di Sofocle ed Euripide; Eschilo rimane l’ossatura più forte, politica e immaginifica al tempo stesso, ed è a lui che si deve il raccordo fra singolo e società nel mito, Sofocle mi ha raccontato la pancia di Elettra e il suo essere eroina che va dritta in fondo al proprio destino tragico, di Euripide mi ha suggestionato l’apertura al senso di colpa umano, alla volontà di mettere in discussione il dettato divino. ÒNeill è interessante per l’approfondimento della dimensione familiare e del concetto secondo cui “le colpe dei padri ricadono sui figli”, per quanto Il lutto si addice ad Elettra risenta a volte dei limiti tipici della drammaturgia coeva. Sartre e Pasolini mi hanno colpito per lo sviluppo dell’effetto sulla società della saga familiare, e se Le Mosche è una bellissima riflessione politica sulla polis contemporanea, il contributo pasoliniano del Pilade è interessante per lo sviluppo della dicotomia fra diritto naturale e diritto positivo (con tutti i limiti, ben noti, della scrittura drammaturgica di Pasolini). L’Elettra di Von Hoffmanstal è un testo di cui si potrebbe benissimo fare a meno, per quanto una certa costruzione “veloce” dell’intreccio ha un che di interessante; la Yourcenar opera un bel rovesciamento della medaglia sugli archetipi caratteriali tipici dei personaggi, e infine Robert Icke, che è un contemporaneo, con la sua Oresteia mi ha fatto rubare degli spunti interessanti sul mito di Clitennestra e sugli effetti della guerra sulla società. Alla fine, però, ho fatto di testa mia, e speriamo bene.

Facciamo quindi due chiacchiere con gli attori, chiedendo loro qualche informazione in più sui personaggi interpretati…

A.M. – Cristina Todaro, il primo personaggio ad apparire è la tua Olimpia, un personaggio sarcastico ma anche un po’ amaro. Raccontaci come lo hai costruito e come hai reso la sua drammatica disillusione per la vita…
Cristina Todaro – Il sarcasmo è una forma di ironia amara, credo che ognuno di noi dentro abbia, se anche inconsapevolmente, una corda sarcastica, ironica e amara che può vibrare più o meno forte a seconda delle circostanze della vita a cui viene sottoposto. Olimpia è quella corda strimpellata e suonata all'ennesima potenza. E' il popolo, la voce stanca ma energica del popolo. Come l’ho costruito probabilmente lo capirò la sera del 29, posso dire che Pasolini e "Mamma Roma" sono un bel patrimonio dal quale attingere. Di certo, lo studio dell'Elettra e del Coro greco al quale Olimpia per alcuni versi corrisponde. Ma al di là dei riferimenti letterari o cinematografici, non bisogna andare troppo lontano per percepire disillusione nella vita reale, soprattutto in una città come Roma, dove sono nata e cresciuta. Torre Elettra racconta di guerre sia esterne che interne, e questo riguarda ogni generazione, quindi anche la mia. Ogni epoca ha i suoi affanni, Olimpia ha i suoi con i quali, però, non fa più nemmeno i conti.
A.M. – Pensi che il tuo personaggio “stoni” rispetto alla “gravità” degli altri?
C.T. – Sicuramente è un personaggio di rottura rispetto agli altri, a volte va in direzione opposta all'andamento delle scene, ma è una scelta drammaturgica ben precisa, quasi a creare un effetto comico, in questo senso è giusto e bene che "stoni". Posso solo sperare di restituire l'idea all'autore/regista e ovviamente al pubblico.

A.M. –Alessandro Giova, il tuo è il secondo personaggio che impariamo a conoscere sulla scena: si tratta di Valerio, un giornalista “classico” nell’impostazione originale, che subisce una certa trasformazione nel tempo. Nello spettacolo parli di “dare forma al caos”. Come avviene questo percorso di crescita del tuo personaggio? 
Alessandro Giova – Per come lo vivo io, è come se Valerio diventasse adulto nel corso dello spettacolo. Ha vissuto sette anni in Germania, lontano dalla patria massacrata dalla guerra civile. Si è informato, ha letto, si è fatto la sua idea, ma è come se avesse vissuto sempre e solo nella sua testa, come se fino al suo ritorno in Italia avesse vissuto in una specie di involucro protettivo. Non si è mai immerso nelle sue idee, le ha vissute fin'ora su un piano puramente ideale. Il ritorno in Italia lo mette di fronte ad una realtà per certi versi nuova, vera, cruda, sporca. Valerio ha voglia di respirare davvero, di toccare, annusare, vivere quel caos, immergersi in esso. Riassume in un bellissimo monologo questa nuova dimensione: è la scoperta del mare, dopo avere per anni nuotato in piscina.
A.M. – Cosa ti è rimasto di Valerio?
A.G. – È difficile dire cosa rimane di un personaggio quando è ancora “vivo” e in movimento. Ogni giorno è una nuova scoperta; certamente la cosa più grande che Valerio mi lascia dentro è la voglia di abbandonare la piscina per nuotare in mare aperto. Poi, a dire il vero, la domanda dovrebbe sempre essere inversa: cosa rimane di te? Perché un buon personaggio in genere riesce sempre a modificarti, farti evolvere. Quel che vorrei mi rimanesse è la sua solidità, la sua lucida convinzione, riuscire a individuare anche io quel Caos a cui dare forma con tutta l'anima.

A.M. – Il terzo ad entrare in scena è Liliana Massari, nei panni di Velia: per analogia è la trasposizione di Clitemnestra, madre di Elettra nella tragedia originale. Liliana, quanto il tuo personaggio è distante o vicino al personaggio mitico della tragedia?
Liliana Massari – E' stato molto stimolante affrontare il personaggio di Velia: l'archetipo della madre, la fragilità e la potenza, l'inestinguibile necessità di proteggere la prole insieme al bisogno di autodeterminarsi. Clitemnestra… rabbia, strazio, dignità, regalità… non può perdonare ancora il marito, lasciato morire, né dimenticare la figlia, sacrificata alla Dea potere. Nella pièce di Giancarlo nessuna divinità ha salvato Virginia/Ifigenia dalla ubris paterna, muore schiacciata da una camionetta della polizia durante gli scontri.
A.M. – Come declina e vive il concetto di maternità?
L.M. – Il regista mette fortemente in una relazione a specchio madre e figlia; Velia ed Alma vivono sotto lo stesso tetto torturandosi a vicenda, ognuna chiusa nella follia del proprio dolore, delle proprie mancanze, come fossero due facce di una stessa medaglia. Diversamente da Clitemnestra, Velia non viene uccisa da Flavio/Oreste, che tornerà a lavorare in Germania, ma rimane con la figlia, in un interregno denso di miti, suggestioni, fantasmi…

A.M. –Dopo Velia si presenterà sul palco Alma (ispirato alla mitica Elettra), interpretato da Valentina Perrella. Valentina, quanto è stato difficile per te immedesimarti nei panni di una donna che ha scelto di “non vivere”, che dice di essere “un albero senza frutti” il cui unico scopo è attendere il fratello per uccidere la madre ed il nuovo compagno? Ti spaventa questo personaggio?
Valentina Perrella – L' imponenza di un personaggio come Elettra può solo che spaventare. La difficoltà è stata ricostruire il suo dolore, le violenze subite e che continua a subire, che troveranno fine solo quando riuscirà a pagare il suo carnefice con la stessa moneta. Ho cercato nella mia vita qualcosa che è stato molto difficile da perdonare e ho tentato di rendere grande questo rancore per avvicinarmi a lei.

A.M. -Matteo Montalto, tu sei Sergio, manipolatore e oscuro, hai usurpato il ruolo di Fulvio (ex marito di Velia) nell’organizzazione della rivolta del “Fronte della gente comune” e hai anche preso il suo posto come marito: un traditore che però resterà vittima di Alma. Pensi che se lo meriti?
Matteo Montalto – Sergio è un personaggio molto complesso e sicuramente dotato di una forte personalità. Il suo atteggiamento nei confronti degli altri e della vita in generale è quello di ‘capò, che lo porta a pensare prima di tutto a se stesso. Anche negli affetti, nell’ amicizia e persino nell’amore è sempre lui ad essere in primo piano e a porsi verso l’ altro con un atteggiamento di superiorità e di prepotenza, spesso risolutivo delle situazioni che non lo entusiasmano. Ed è proprio nel rapporto con la sua compagna Velia, donna più grande di lui, che esprime tutta la sua ‘mascolinità’, il suo essere maschio dominante e il suo egoismo, che lo portano a pensare prima a se stesso e a vedere spesso la sua compagna, e le donne in generale, come oggetto di piacere e divertimento.
A.M. – È un personaggio davvero così negativo?
M.M. – Al contrario, in campo lavorativo e sociale risulta essere una persona di grande carisma che sa prendersi le sue responsabilità a dispetto di tutto e tutti. Si fa strada nel movimento polito che detta legge a Torre Elettra, del quale porta avanti gli ideali spesso con mezzi e modi discutibili e del quale è assoluto leader. Credo che Sergio in fondo sia una persona profondamente sola e consapevole di esserlo, pertanto si adegua alla legge del più forte, come spesso può accadere in una realtà cosi dura e controversa, e che tutto questo trascorso e questo odio maturato verso il mondo e verso le istituzioni lo porti ad abbandonare completamente i sensi di colpa. Lascerà, così, dietro di sé una scia di morte, violenza e peccato che lo porteranno ad accettare il suo destino che forse in cuor suo sapeva già segnato.

A.M. – L’ultimo personaggio a comparire sulla scena è Flavio (ispirato ad Oreste) il fratello di Alma, interpretato da Luciano Guerra, un personaggio estraneo alle vicende della città ideale in cui è ambientata Torre Elettra e rimasto lontano dalle sue anarchie politiche. Luciano, che rapporto c’è con il personaggio di Elettra? Quanto viene coinvolto nella follia della sorella?
Luciano Guerra –  Alma/Elettra e Flavio/Oreste. Nonostante gli anni passati lontani l’uno dall'altro, il loro amore fraterno sembra essere stato quasi rinsaldato dai sei anni di esilio forzato di Flavio. Si ritroveranno, si riabbracceranno, si scontreranno di nuovo, come quando erano piccoli. Ma questa volta l'ombra della follia aleggia su di loro. Una lucida follia, quella di ELETTRA/Alma. La sete di vendetta, la legge del sangue chiama sangue, che porterà Oreste/Flavio sul baratro della disperazione ed alla fine si impossesserà di lui, tramutandosi, per controparte, in un perverso meccanismo di rimozione che lo spingerà ad allontanarsi, definitivamente, da quella casa che sua sorella stessa definirà "una tomba".

Ringraziamo tutto il cast del Planet Arts ed il regista Giancarlo Nicoletti per la disponibilità a rispondere alle nostre domande e invitiamo tutti a seguire TORRE ELETTRA, da oggi in scena fino al 29 gennaio al teatro Brancaccino di Roma (via Merulana, 244

 

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