Ho assistito alla prima del Liolà di Pirandello. La commedia l’ho recensita per i lettori di Gufetto. Sapevo della partecipazione di un’amica e attrice di razza come Anna Màlvica: quindi mi sono accomodato nel velluto rosso del Quirino preparato e curioso come sempre e come dev’essere in certe occasioni speciali. Gli applausi del pubblico, durante (fuori protocollo) e al finale sulle uscite, hanno confermato l’ottima interpretazione dell’attrice che qui dà corpo, voce e “animo” a zia Croce. A dirla tutta non è un applauso ma una vera ovazione che decreta, a mio parere, la signora Màlvica, come la vera protagonista della pièce. Non ce ne vogliano gli altri due protagonisti: Giulio Corso ed Enrico Guarneri.
La curiosità resiste anche il giorno dopo tanto da chiedere l’intervista all’ufficio stampa.
Il Quirino mi accoglie subito, senza indugi, nel suo elegante foyer; attraversato il palco che ancora suona di repliche ben riuscite, dopo lunghe e tortuose scale, sento un brusio di voci. Distinguo nitida la voce dell’attrice venire (timbrata) dal fondo remoto del corridoio e dopo la batteria dei camerini. Credo che Anna stia ripassando la parte, ma è solo il mio ingenuo convincimento. Sta solo chiacchierando con un’altra attrice della compagnia, ma lei mi appare così: attrice anche quando vive la vita vera o forse vera come la vita quando interpreta i suoi personaggi sul palco. Il confine è labile ma è un dono assai raro che hanno in pochi attori: rimanere naturali ovunque si trovino e muovano. Palco o vita. Non c’è marcata distinzione.
Mi saluta affettuosamente e mi invita nel suo accogliente camerino. E’ già pronta per andare di nuovo in scena. Ha avuto un matinè affollato di una scolaresca entusiasta di vedere in carne ossa quei personaggi di Pirandello studiati sulla pagine secche di un libro. E’ ancora la zia Croce. Non ha avuto il tempo di spogliarsi di quel costume che le rimane addosso come una seconda pelle. Forse non lo toglierà fino alla replica del pomeriggio. Non c’è il tempo e la voglia. L’attrice è comoda dentro il suo personaggio e ci piace pensare che lo sia anche il personaggio semmai questo potesse parlare come nel migliore delirio pirandelliano, che immaginava d’essere sorpreso nel pieno del sonno dalle sue invenzioni letterarie. Uomini, donne e bambini venivano a disturbare il suo sonno nella speranza che il loro creatore riprendesse a scrivere…
Buonasera Anna. Intanto complimenti per la tua straordinaria esibizione. Ero tra quelli che hanno applaudito forte, ma non so se si è sentito sino al palco: avevo troppi concorrenti tra le poltrone! Troppe mani!
Anna: Grazie caro Salvo,
Andiamo indietro col tempo: come hai iniziato la carriera?
La carriera inizia per passione pura, e la passione arriva dalla mia famiglia: i Màlvica giravano la Sicilia già alla fine dell’ottocento. Il barone Basilio Màlvica rinunciò al titolo per scappare con l’attrice Giulia Libassi. Si innamorò di questa bellissima donna e attrice, imparò il mestiere dalla compagna e poi moglie e iniziarono questa avventura itinerante per l’isola. Misero al mondo tre figliuole: Giuseppina, Teresina e Anna. All’inizio della carriera una pronipote, io, decise di ereditarne il nome. Ho iniziato la carriera frequentando i tre anni dell’Accademia d’arte drammatica Silvio d’Amico dopo avere superato l’esame d’ammissione. Poi, per mia scelta, ho deciso di diventare una caratterista. Mi sentivo giusta. Faccio questo mestiere da cinquantacinque anni. Ho lavorato “tanto”, ho comprato case, sono stata bene economicamente. Lavorando tanto in Teatro ho conquistato la mia professionalità ma non il mio nome. Quello no. Oggi non sono famosa e non credo che possa accadere qualcosa alla mia età
Ma sei un nome nel Teatro…
Molti nell’ambiente sanno che al nome, cognome Màlvica corrisponde una professionalità conquistata in tanti anni di lavoro. Ma non ho un nome famoso. E’ difficile che possa accadere qualcosa a settantotto anni. Non credo come ti dicevo. Sono un attrice quello sì. Sono una garanzia, una sicurezza. Lo so.
Che significa essere un’attrice per te?
Conoscere il mestiere. Sapersi muovere con naturalezza sul palco e non solo. Prima, pensa, mi vergognavo a dirlo. Oggi conosco tanta gente che mi chiama per lavorare. Conosco gente come te che mi chiede appunto “cosa significa essere attrice” e io rispondo così. Ormai senza veli o reticenze. Non più…
Professionalità quindi….
Infatti, vedo un Teatro di qualità che rischia di sparire. Pochi attori conoscono la dizione. Giusto al doppiaggio: c’è un uso attento solo in sala. E vedendo questa pletora di attori che fanno Teatro o le fiction, dico e lo dichiaro in questa intervista senza pudore ormai: io sono un’attrice che ha studiato e che ha affinato la propria professionalità, il mestiere.
Vedi la televisione?
Si ma spesso mi capita di non capire quello che dicono, magari qualcosa di interessante certo, ma non si capisce. Mi capita spesso a casa di alzare il volume ma non si capisce comunque quello che dicono certi attori. Allora il problema non è il televisore, il volume, ma spesso il problema è l’attore che andrebbe cambiato, sostituito…
Sei brava non c’è dubbio...
Sì, Salvo, ma riesco a dirlo solo da poco, sono grandina, eppure quando mi hai conosciuta dicevo, ti ricordi? “sono bravina”. Oggi dico sono “brava”. E non mi vergogno più a dirlo!
Non sei brava… sei bravissima, e quell’applauso del Quirino lo ha confermato…
Sì, non ho voglio più usare il “condizionale” e questo è un fatto che “lo accetti o lo accetti”
Con la “e” aperta… accetti…
Certo. Aperta. Se un attore non è bravo, per tecnica e capacità interpretativa: gli va detto. Anche se tanto nelle fiction non prendono spesso attori di Teatro, basta solo che hai un bel sedere per avere il ruolo. Oggi sono tutte Dee come la Venere callipigia: con bei seni e natiche; belle o anche belli come il sole ma che non sono attori…
(ridendo) a “fiscion...” come dico in una mia commedia che parla di un attore di Teatro che inveisce contro la televisione…
Ecco vedi che la pensiamo alla stessa maniera. Comunque che la facciano, a me non importa.
Davvero non ti importa?
Certo che se mi chiamassero per un ruolo a me congeniale, lo farei. Andrei… ma non accade.
Il cinema e la televisione si stanno perdendo una grande attrice e possibilità…
Sono arrivata a produrmi da sola un corto che si chiama “Per un pugno di like”
Di che parla?
E’ la storia dei nostri giorni. Oggi ai provini non prendono l’attore bravo ma quello che ha più like, followers... Non conta la bravura. Ci sono ormai queste stories. Più ne hai, più hai possibilità di lavorare! La mia regista mi ha aperto un profilo Instagramm. Ci ha pensato lei. Non so. Ho capito che il Teatro non dà visibilità, non puoi legare il Teatro al successo.
Al contrario?
Certo che sì, puoi, devi legare i “media” (detto con la E perché è latino e non all’americana con la I) al successo. Quello sì. E’ necessario. Questa del corto quindi è la storia di una povera attrice che fa di tutto per collezionare like... Per diventare nota. L’idea è carina: è mia ma lei, la regista, l’ha elaborata.
So che avete già girato?
Si Salvo: due giorni massacranti di riprese e poi il debutto qui al Quirino con questo Liolà. Ma ce la posso fare, ce la sto facendo! Abbiamo debuttato a Torino.
Ti sei sentita male!
Sono andata in scena con una forte tachicardia, sudavo, stavo male, tanto che alla fine della replica mi hanno accompagnata al pronto soccorso.
Questa è la “vera” attrice!
E’ stato tremendo. Terrificante: stavo morendo, ma siamo qui a parlarne.
(sorridendo per sdrammatizzare) Sono certo che hai messo quella sofferenza al servizio del personaggio!
(sorride)
…anche se non è da tutti, e poi la zia Croce passa per vari registri di recitazione: allegra, arrabbiata. E’ una passionale!
Infatti, inoltre doppi spettacoli, un raffreddore in atto, un audio libro con la tua direzione in sala d’incisione.
Si, dove interpreti meravigliosamente e autenticamente Mina Welby, intervistata dall’autore e avvocato Gian Ettore Gassani. Il libro si intitola “C’eravamo tanto armati”. Una dichiarazione (nel tuo capitolo) d’umanità toccante sul rapporto tra Mina e Piergiorgio Welby e sulla scelta consapevole di morire d’eutanasia e tutte le implicazioni politiche e di diritto sul fatto che il nostro ordinamento non lascia liberi gli individui di lasciare la vita quando questa non può più definirsi tale!
Si. Toccante. Ho sentito molto il personaggio. Su tua indicazione abbiamo usato un leggerissimo accento tedesco.
Riprendete anche il “Berretto…”?
Si, certo, anche questo! Siamo stati al Manzoni di Milano, dove abbiamo avuto un successone con la versione di Jannuzzo e il suo divertente, ironico Ciampa.
Ti avevo vista e goduta nella “Berretto” di Caruso, che ho apprezzato molto. Lui è stato il mio regista nel “Settimo personaggio”.
Un Ciampa diverso quello di Caruso e Jannuzzo.
Ci ricordiamo tutti i Ciampa del passato, della storia: Edorado, Stoppa, Randone e forse il migliore in assoluto: Turi Ferro, il tuo compagno di palco per decenni allo stabile di Catania. Mi piaceva molto anche quello di Caruso, quel suo essere pacato, “morbido” incarnava a mio vedere la figura dello scrivano di corte Fiorìca. Teatro di qualità dunque. Dove? In Teatro o in televisione o al cinema.
Antichità o modernità mi verrebbe da dire…
Ma bisogna sempre scegliere tra Teatro e il resto? Non si può fare un buon prodotto anche in televisione o al cinema?
Ma sì. Certo che sì. Bisogna solo chiamare attori veri!
E non solo belle facce e bei sederi!! (ride)
Ecco, torniamo al discorso di prima. Ma la qualità nobilita tutti e tutto. La qualità in primis. Il Teatro fatto bene, fa bene… Ma siamo elefanti in estinzione…
Un giurassico del Teatro?
Si, esatto, un giurassico del Teatro, gli ultimi, prima che il Teatro muoia; ma non muore mai.
Sopravvive!
Sopravvive ecco! anche se non dovrebbe essere così. Dovrebbe “vi-ve-re”. Senza stenti.
Il Teatro è cultura. E’ diffusione del pensiero. E forse la questione è scomoda per chi ha brama di potere. E’ meglio che il popolo non pensi troppo. Si è sempre fatto adesso e nel passato. Meglio migrare l’interesse verso altre questioni meno importanti. Ma questa è un’altra storia. Sei contraria al Teatro d’avanguardia? I testi classici si possono cambiare?
Si, certo; sono aperta a nuovi esperimenti: si può cambiare ma non stravolgere.
Il pensiero dell’autore va rispettato, sennò si scrive un’altra commedia. Spesso da attore e critico perdo il filo e certi classici vengono violentati del loro messaggio primigenio sino a sembrare una qualcosa di lontano e diverso. Si tiene il titolo, mi viene da pensare, solo per attrarre il pubblico. A volte mi sembrano operazioni commerciali che scoraggiano il pubblico a tornare in quel Teatro o peggio in generale a Teatro a danno di tutti gli operatori
Direi di tenere, laddove possibile il testo originale e recitarlo anche in modo moderno. Non è necessario attaccarsi alle tende e usare certe vecchie intonazioni. Ma ribadisco serve essere bravi. Molti pensano che se un testo lo facciamo “strano” questo diventa originale. Bisogna essere professionali. Quella è la vera originalità. Una giovane attrice della compagnia si stupiva del fatto che io in scena faccia un urlo e la gente rida. E’ importante che il pubblico reagisca. Che faccia qualcosa.
Occorre ridestarlo… c’è il solito timore e stereotipo che l’umorismo di Pirandello (sul quale scrisse un saggio) venga confuso con la comicità.
E’ difatti uno stereotipo. Pirandello non scriveva comico. Era un umorista. Ironico. Ma occorre svegliare il pubblico. Abbiamo, noi attori, il dovere di sconvolgere il pubblico, anche in modo violento. Deve uscire dal Teatro meravigliato. Sorpreso, sennò è stato tutti inutile. Superfluo. I grandi autori vogliono creare un fatto di cui rimanga traccia. Memoria. Non c’è la pellicola come al cinema…
Occorre emozionarsi quando si va a Teatro!
Certo Salvo, te lo dico sempre anche quando vengo ai tuoi spettacoli. Emozionarsi a Teatro come nella vita. Mi vengono in mente certe coppie di amanti o anche amici che non parlano e non si emozionano. Bisogna vivere in modo passionale. Litigare se è il caso!
E noi abbiamo litigato tante volte, ma sempre con grande affetto e verità!
In scena rido, piango, mi dispero, ballo: mi emoziono!
...ed emozioni! Parliamo di questa zia Croce interpretata da questa attrice bi-dialettale. Tu reciti in perfetto italiano, romanesco e siciliano.
Nasco a Roma, ma il siciliano mi scorre nelle vene…
Per dirla alla Ciampa...
E’ il dialetto dei miei genitori e poi sono stata per anni allo stabile di Catania: l’ho imparato. I dialetti vanno fatti bene, devono essere veri. Sennò sembrano macchiette. Cosa dobbiamo sentire quel Montalbano… che non è siciliano? Mi fa impazzire quando una casting ai provini dice a certi attori più onesti che non importa che non sanno parlare il siciliano perché ci penserà lei a farli parlare in dialetto. Ma scherziamo?! Come si fa a insegnare il siciliano? Io lo parlo perché me lo ha davvero insegnato la mia mamma, il mio papà e Turi Ferro. L’idea di Camilleri è giusta, ma è realizzata male. Quello non è siciliano. Neanche un po’.
Sono d’accordo: è un suono e persino distorto. Zia Croce. Questo bel personaggio scritto dall’autore per Rosina Alsemi. Che mi dici?
E’ un bellissimo personaggio. Lo adoro. Mi piace farlo in siciliano vero come è giusto che si faccia. E’ un personaggio che ha una moltitudine di note. La sua allegria cambia e diventa rabbia quando le toccano la figlia, la toccano nel punto debole! Lei è una simpaticona. Conviviale. Offre da bere alle ragazze. Balla con Liolà. E’ innamorata della vita, forse anche di Liolà. Ho proposto al regista, a Bellomo, una zia Croce diversa. Tutti l’hanno sempre fatta autoritaria, cattiva. Invece no… io l’ho pensata diversa e l’operazione è riuscita. Piace al regista e al pubblico.
Ti piace inventare?
Inventare è tutto!
Inventare, inventarsi.
Va bene il Teatro classico ma non va bene lo stereotipo. Non volevo farla come Ave Ninchi. Non so come l’abbia fatta l’Alselmi perché non l’ho potuta vedere. Quindi lo stereotipo è il vero errore nel quale non deve cadere il regista e attore intelligente.
Un personaggio classico può tornare moderno se viene reinventato…
Ho bisogno di vita e questa è vita. Far vivere un personaggio è uno dei grandi piaceri di questa mia esistenza.
Ho già detto o lo ripeto che emozioni. Sei testimone vivo di un grande Teatro. Ma tu?
Io?
Tu… ti emozioni?
Ma sai Salvo, io non ci penso a questa ovazione. Faccio il mio personaggio con amore, dedizione. Ho paura. Perché l’esperienza di mezzo secolo di teatro non mi ha portato via l’emozione…
E per fortuna, sana paura...
Ma quando arrivo al finale e sento, vedo quell’applauso, dico: sono riuscita anche oggi. Posso farcela anche domani. Ho sconfitto un cancro, vuoi che non riesca a fare domani un’altra replica? Penso di sì. Posso farcela. Devo farcela! Sono viva… sono abbastanza viva d’andare in scena, ancora!
Si vede e si sente. Brava Anna. Evviva il Teatro, questo mio applauso è per te qualora non si sia sentito alla prima ma eravamo in tanti, tutti all’unisono a ringraziarti della bella serata di Teatro che ci hai regalato! (applaude)
Grazie, grazie davvero!
Saluto Anna con un abbraccio e la promessa di volersi ancora bene. Trovo sull’uscio del camerino colleghi e amici in attesa di parlarle come succede ai santoni e capi spirituali. Ripercorro a ritroso quel cunicolo di corridoi e scale che mi avevano condotti al camerino dell’attrice. Sento ancora (ormai come un eco) il ruggito della Leonessa del Teatro che insieme cura le ferite di un ambiente che le dà tanto ma non tutto perché in questo nostro disastrato paese non c’è meritocrazia. Non c’è attenzione per i grandi nel cinema e televisione, dove i Bova e Garko la fanno da padrone. Dove successo e bravura non rappresentano l’equazione perfetta. Avverto limpida in Anna Màlvica quell’urgenza di vivere e farcela ad ogni costo.
In bocca al lupo Anna. Non può sentirmi perché sono già lontano, ma so cosa mi risponderebbe: “Viva il lupo” (e non crepi) a conferma di quell’amore sconfinato per la vita!