Firenze com'è: la città  svelata. Intervista a Lapo Baraldi

Lapo Baraldi è un fotografo fiorentino che si sta affermando a livello internazionale grazie al suo  lavoro in bianco e nero su Firenze ai tempi del lockdown. Sono tutte fotografie su pellicola, per cui, alla precisa inesorabilità delle inquadrature, si aggiunge il tocco fisico e alchemico dell’elaborazione in camera oscura. Fuori dall’intento di indagare il dramma della desertificazione, l’autore trasforma il vuoto della città in una fantasmagoria, dove pietra, architettura e monumenti cedono al nebuloso delle apparizioni.

Lapo Baraldi: Firenze com’è

L’arte visuale si sottrae alla presa, accade e cade in un Altrove. L’atto fotografico, sembrando ‘riconoscibile’, proprio per il suo contatto con il ‘reale’, spiazza l’occhio, e piuttosto che confermare l’esistenza del mondo, la mette in dubbio, ci scolla insomma la terra da sotto i piedi. In questo Lapo Baraldi è maestro, e il suo lavoro d’astrazione su Firenze non è riducibile allo strato – seppure innegabile – di testimonianza. Certo, il libro FIRENZE COM’E’ che raccoglie le sue opere viene venduto in tutti i musei, anche al MOMA, per l’unicità di immagini di una Firenze priva di presenze umane, ma quel che colpisce è l’esito di un prestigiatore che crea dimensioni inafferrabili attraverso il noto di architetture rinascimentali, precedute dalla loro stessa storia, consumate abitualmente dai turisti e codificate nei libri di storia dell’arte. È strappandole al sapere che la verginità, tutt’altro che innocente, s’impone vertigine, slittamento. Immagini in tremore di dissolvenza o nell’affondo di un’intrusione incollocabile.

Intervista a Lapo Baraldi

Chiara Guarducci: Come sono nate queste opere? Da un iniziale progetto di testimonianza che poi si è trasformato in una grazia visionaria oppure incontrando la città deserta ci hai colto subito la suggestione per esprimere un’alterità e spingere la sospensione verso questa cifra astratta e metafisica?

Lapo Baraldi: Ti rispondo, partendo da una citazione: “In un chiaro pomeriggio d’autunno ero seduto su di una panca in mezzo a Piazza Santa Croce a Firenze. Certo non era la prima volta che vedevo questa piazza.[…] Il sole autunnale, tiepido e senza amore, rischiarava la statua come anche la facciata del tempio. Ebbi allora l’impressione strana che vedessi queste cose per la prima volta. E la composizione del quadro apparve al mio spirito; ogni volta che guardo questo quadro rivivo quel momento. Momento che tuttavia è un enigma per me, perché è inesplicabile. Perciò mi piace chiamare enigma anche l’opera che ne deriva.” Così ricorda De Chirico l’esperienza straniante che visse davanti a quegli spazi di frequentazione abituale, cha ad un tratto per determinate condizioni (esterne o mentali) gli apparirono come insondabili e misteriosi, sconosciuti. È allora che l’osservatore sensibile in preda allo stupore, avendone gli strumenti, tenta di comunicare e trasmettere questa sensazione. Durante il lockdown del 2020 ho avuto il privilegio di poter vivere la mia città in maniera insolita e solitaria, svuotata completamente dalla presenza umana che di solito la affolla. Questa assenza, quel silenzio assordante che era calato come una coltre su tutti gli edifici, sulle piazze e le strade, mi fecero cominciare ad osservare gli spazi con occhi nuovi.

Firenze durante il lockdown

CG: Quanto è importante che gli scorci siano di Firenze?

LB: Quella città antica e perfetta che gli umanisti progettarono pensando all’uomo come misura di tutte le cose, era privata del suo stesso senso, svuotata di significato. Era come vedere una mappa senza scala, le proporzioni non erano più fissate da niente. Ma allo stesso tempo ero davanti ad una visione unica ed inedita, come se quegli spazi mi fossero rivelati in forma confidenziale, privata. Come vedere dei disegni che ancora nessuno era andato ad animare. Questo spettacolo andava raccontato in maniera altrettanto speciale. Così ho ritirato fuori la macchina fotografica di quando studiavo, una reflex 6×6 medio formato a pellicola e, montato il grandangolo, ho provato a descrivere quelle sensazioni e raccontare dal mio punto di vista la città svelata. Volevo accompagnare lo spettatore in un viaggio immaginario nella città ideale, perfetta fino a diventare astratta. Una volta sviluppati i rullini e fatti i provini a contatto, mi sono accorto che una testimonianza di questa portata non aveva precedenti nella storia. Ho infatti consultato numerose fonti (dagli archivi Alinari a “Le strade di Firenze” di Piero Bargellini), dove però l’elemento umano, quando non protagonista, è sempre presente. Ho iniziato a organizzare una selezione per dare una direzione ed un ritmo al viaggio. Grazie a Silvia Agozzino (studio Muttnik) abbiamo dato a questa selezione una veste grafica permettendo alla narrazione di rendersi autosufficiente. Per completare l’opera di astrazione abbiamo chiesto all’architetto Elena Ronchi di scrivere un racconto fantastico che introducesse l’osservatore al viaggio immaginato. Abbiamo quindi proposto il progetto a Forma Edizioni, casa editrice d’arte che si è subito mostrata interessata a pubblicare il libro. Uscito a dicembre 2020, “Firenze com’è.” è distribuito a livello mondiale anche in lingua inglese. Un’altra veste in cui si possono vedere le foto della serie è “Firenze. 20 vedute”, un cofanetto di mini cartoline ispirato ai carnet di viaggio di inizio ‘900, pensato dai proprietari della libreria TodoModo e da noi realizzato, che si può trovare in esclusiva da loro.

La tecnica fotografica di Lapo Baraldi

CG: Facci entrare nei segreti di questi tagli compositivi e del lavoro in camera oscura. 

LB: Questa esperienza mi ha dato modo di riscoprire l’approccio più lento e ragionato a tutto il processo fotografico cui ti obbliga la pellicola. Così ho trasformato la mia piccola casa-studio in una grande camera oscura, dedicandomi alla ricerca e allo studio delle tecniche tradizionali di stampa. Partendo quindi dai negativi della città deserta ho cominciato a sperimentare le infinite possibilità di rendere lo stesso soggetto/spazio ogni volta in maniera diversa, a seconda delle sensazioni che intendo suscitare nell’osservatore. Così la stessa scena può essere resa eterea dalla poca esposizione alla luce dell’ingranditore, da cui l’immagine come un’apparizione affiora; viceversa calcando la mano e la luce, forzando l’ossidazione dell’argento fino al nero denso di una visione fosca e quasi notturna si può arrivare dalla stessa scena ad un risultato opposto: opprimente inquietudine e smarrimento prendono il posto della contemplazione rilassata di una scena idilliaca. Questa e altre scelte (contrasti, inquadrature, composizione) vengono spesso dettate dalla collocazione finale della stampa. Infatti una parte del lavoro continua con la ricerca di cornici antiche o particolari che scovo in mercatini e robivecchi. Sto anche collaborando con un artigiano ebanista che possiede una particolare sensibilità nell’interpretare i toni del legno. Questi oggetti che suggeriscono ricordi di una vita passata, una volta restaurati, ne trovano una nuova ospitando le mie creazioni. Stampe, come dicevo, pensate di volta in volta per dialogare con il legno antico ebanizzato, con una classica ovalina dorata, o con l’argento patinato dal tempo. L’oggetto finito è un ibrido di antiche tecniche e nuova fattura, che provoca una distorsione percettiva in chi lo osserva: con la sua aura d’altri tempi, sembra suggerire un mondo antico e perduto. Invece, semplicemente, è quello che abbiamo sempre sotto i nostri occhi le cui sfumature non siamo abituati a cogliere.

in copertina Lapo Baraldi
“Firenze, Piazza SS. Annunziata”, 2020, 20×20
“Firenze, Corridoio Vasariano, variante”, 2021

Lapo Baraldi

Biografia: dopo il diploma conseguito alla Scuola Internazionale di Fotografia di Firenze inizia a collaborare con lo studio Ugolini. Qui lavora a varie tipologie di progetti nell’ambito della fotografia applicata alla moda e al reportage. Come campo di lavoro personale si dedica a reportage, corporate ed alla riproduzione di opere d’arte. Nel 2020 effettua una serie di scatti sulla città di Firenze utilizzando tecniche di ripresa analogiche e dedicandosi in seguito allo sviluppo e alla stampa dei negativi, pratica che applica anche a commissioni di vario genere.

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