Ancora in scena al Piccolo Eliseo di Roma, ANIMALI DA BAR, ultimo lavoro di Carrozzeria Orfeo, che sta bissando il successo già riscontrato con THANKS FOR VASELLINA (vedi la recensione di Susy Suarez). Raggiungiamo il regista Gabriele di Luca, per far luce sullo spettacolo e comprenderne la fase creativa e realizzativa.
Giuseppe Sciarra (G.S.) – C’è un processo creativo diverso tra il precedente THANKS FOR VASELLINA e ANIMALI DA BAR? Se, si quali sono le differenze nel lavoro drammaturgico? Qual è l’iter che segui nella scrittura dei tuoi testi?
Gabriele di Luca (GdL) – Il processo creativo per entrambi gli spettacoli è il medesimo e consiste in un confronto preliminare con il resto della compagnia dove si definiscono le tematiche e i contenuti che in generale si vogliono sviluppare nel lavoro cercando, dal mio punto di vista, di capire quali sono le esigenze delle persone che faranno la regia con me e quindi Massimiliano Setti e Alessandro Tedeschi. Dopo di che, io mi isolo per qualche mese e inizio a scrivere il testo. Le fasi di scrittura del testo sono una lunga fase di ricerca di lettura, a livello saggistico, di romanzi, poesia, molto generica ma anche specifica sugli argomenti. E poi inizia la fase di scrittura vera e propria. Al termine iniziano le fasi di revisione dove faccio leggere ai miei colleghi, condivido con il gruppo, prima di entrare in prova, e lì avvengono i tagli, le modifiche, gli aggiustamenti. Scrivere è anche per me un’esercizio di solitudine, non a caso passo attraverso molte crisi creative prima di riuscire ad arrivare a ciò che voglio.
G.S. – A gusto personale, trovo che il vostro spettacolo possa essere visto come scomodo da alcuni. In un sistema come quello attuale che trasforma anche il politicamente scorretto come qualcosa alla moda o che può essere strumentalizzato dal sistema, credete di poter essere veramente una voce fuori dal coro o non ve ne importa semplicemente nulla e vi recepite come altro?
G.d.L. – Dire che non ce ne importa nulla mi sembra troppo esagerato nel senso che è logico che una compagnia teatrale deve sempre avere la percezione di quello che è sia artisticamente che nel mercato. Però dal punto di vista creativo, no, non ce ne importa nulla. Anche perché politicamente scorretto rispetto a cosa? È il linguaggio che sentiamo tutti i giorni, è la vita politicamente scorretta. Usare un linguaggio politicamente scorretto non ha che fare con una moda o con un appeal perché il nostro teatro poteva anche essere detestato… In realtà ha funzionato perché racconta delle storie con un linguaggio acre, disadorno, attraverso situazioni grottesche, racconta di un’umanità socialmente instabile, di emarginazione e solitudine, storie un po’ diverse da quelle che si è abituati a sentire. In questo senso pensiamo che il nostro pubblico riesca ad apprezzare quello che fa Carrozzeria Orfeo.
In ogni caso per tornare alla parola ‘politicamente’, quindi politica, il teatro è sempre politica perché è sempre esercizio della democrazia, quindi è anche giusto che un teatro possa essere sia riconciliante, perché ci riconcilia con delle pulsioni come la violenza, l’aggressività, ma possa essere anche provocatorio, catartico, scomodo quando, anche se con grande ironia, attacca il potere. È importante sottolineare però che il nostro teatro non è mai didattico, non vuole passare un messaggio, ma vuole lanciare dei temi, dei punti di vista sul mondo. Ha sempre dentro la caratteristica che i personaggi portano un punto di vista e quello contrario in modo tale che chiunque può vivere e partecipare di questa lotta tra i diversi punti di vista. Mi preme dire che del teatro italiano, anche rispetto alle giovani compagnie e al rapporto tra compagnie e critica, ciò che proprio odiamo è la moda. Non vogliamo essere di moda. E se è una cosa che sta succedendo non è una cosa che stiamo volontariamente contribuendo a creare. Ci piace il teatro pieno, la gente che ride e si emoziona, vivere del nostro lavoro, che i nostri spettacoli siano sempre più profondi, divertenti e nuovi. Quello da cui cerchiamo sempre di rifuggire, anche ora pensando al prossimo spettacolo, è lo stare dentro un format, il dire ‘questo ha funzionato, rifacciamolo uguale’.
Credo che ciò si veda molto bene tra THANKS FOR VASELINA e ANIMALI DA BAR. Thanks è stato definito un cult, un grande successo del teatro italiano contemporaneo ma ANIMALI DA BAR, seppur prosegua quelle linee poetiche e le amplifichi, è completamente un’altra storia. Non vogliamo entrare nell’ottica del format, della moda, del teatro commerciale. Il nostro essere pop deve essere difeso in questo senso.
G.S. – Mi ha sorpreso piacevolmente la spontaneità degli attori in scena. Quanto c’è di personale nell’interpretazione degli attori? È possibile essere così autentici senza attingere dal proprio vissuto?
G.d.L. – Certamente agli attori viene sempre chiesto di attingere al proprio vissuto. Noi non crediamo a quel tipo di teatro in cui ad esempio c’è un attore fuori scena che dice “scusa sto cercando di entrare nel personaggio, non disturbarmi” perché il lavoro di recitazione che insegniamo e portiamo avanti è un lavoro di immedesimazione e di stacco al tempo stesso. Io so di essere in scena Gabriele Di Luca che sta interpretando Milo Cerruti e cerco di portare attraverso quel personaggio, quella maschera, la mia carica umana, la mia forza umana. Non a caso il mio personaggio Milo Cerruti ha a che fare con Gabriele Di Luca perché nello stesso periodo in cui stavo scrivendo Animali da Bar mi stavano operando di calcoli. Questo è solo un esempio, ma ce ne potrebbero essere molti altri.
Non che io vada a pescare nella vita degli attori per scrivere i testi però sento che ci sono nei personaggi delle caratteristiche umane o dei conflitti, dei nodi, qualcosa di irrisolto vicino all’attore ed è importante che lo riesca a portare in scena. Il teatro non è vero, né finto, il teatro è credibile o meno, verosimile o meno, e la verosimiglianza è qualcosa che cambia di epoca in epoca. Se duemila anni fa avessero fatto uno spettacolo dove qualcuno scriveva su una lastra come fosse un ipod sarebbe stato inverosimile, oggi invece non lo è. Quindi bisogna sempre stare dietro al concetto di verosimiglianza, essere credibili, non tanto essere spontanei ma parlarsi. Prima di entrare in scena la sera diciamo sempre “guardiamoci negli occhi, parliamoci davvero, ascoltiamoci e raccontiamo la storia”.
Non ho ma creduto tanto, quando guardo all’attore, nel talento, anche se esiste ed è riconoscibile, ma di più nella personalità che ha a che fare con la carica umana che l’attore porta con sé. Non credo che un attore possa astenersi da mettere qualcosa di se stesso in quello che fa. In nessun campo della vita dovrebbe essere così ma ancora di più in teatro. Stare sul palco e cercare di raccontare un personaggio per forza deve invischiarti, devi mettere qualcosa di tuo. Deve essere un’operazione quasi pericolosa perché devi assolutamente buttartici dentro, cercare delle cose scomode in luoghi che non ti piacciono tanto, e questo sia quando scrivi che quando reciti.
Ringraziamo Gabriele de Luca per la sua disponibilità a rispondere alle nostre domande e invitiamo tutti a seguire, in quest’ultimo week end di programmazione al piccolo Eliseo, la Carrozzeria Orfeo nel suo brillante ANIMALI DA BAR!
Info:
ANIMALI DA BAR
uno spettacolo di Carrozzeria Orfeo
drammaturgia Gabriele Di Luca
PREMIO HYSTRIO TWISTER 2016
Con
Beatrice Schiros, Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti
Pier Luigi Pasino, Paolo Li Volsi
Voce fuori campo Alessandro Haber
Musiche originali Massimiliano Setti
Progettazione scene Maria Spazzi
Costumi Erika Carretta
Luci Giovanni Berti
Regia Alessandro Tedeschi, Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti
Ph. Laila Pozzo