Intervista alla Compagnia Terra Vergine

Si parla tanto di crisi a diversi livelli e in diverse forme in questi ultimi anni, in ogni ambiente. Il teatro è uno di quelli dove si sono create delle situazioni che tendono a trincerarsi, dove sembra quasi che, al di fuori delle realtà istituzionali e di svariate forme di finanziamenti esterni, esista un limbo deserto.

Per fortuna in questo apparente deserto esistono tantissime realtà, la maggior parte delle quali completamente fuori dai mirini di istituzioni e canali canonici, che cercano i propri percorsi, che cercano di costruire i propri spazi e di dare corpo alle proprie voci, realtà che con Gufetto cerchiamo di seguire, scovare, tenere d’occhio. Realtà vivaci, idee diverse (che a volte funzionano a volte meno) e soprattutto spesso le uniche realtà che si confrontano con un pubblico altro da quello canonico e conteso dalle grandi realtà stanziali del teatro, un pubblico tendenzialmente over che sembra destinato al declino, anche solo per una mancanza di semplice ricambio generazionale.
Realtà non soltanto costituite da luoghi o spazi teatrali, ma anche da chi in quegli spazi teatrali fornisce la materia prima: attori e autori.

Giovanissima, sia per formazione che per età anagrafica, Terra Vergine è una di queste realtà. Quattro ragazze, Sabrina Scolari, Chiara Porcu, Giulia Berto e Federica Barbaglia, che si sono unite con in testa la voglia di fare del teatro anche qualcosa di diverso, declinandolo in progetti differenti ed eterogenei, ma sempre focalizzati a raccontare non solo storie ma anche a portare l’attenzione a riflettere e confrontarsi con diversi temi sociali, dove l’universo femminile, in molte delle sue sfaccettature, fa sempre capolino. I loro lavori stanno muovendo i primi passi, alcuni ancora in fieri mentre altri che hanno iniziato ad affacciarsi davanti ad un pubblico e a raccogliere i primi consensi: all’attivo Terra Vergine, nata soltanto nel  2013, ha due spettacoli originali messi in scena, un format teatreale e due corti teatrali.
 
Mi sono incontrato con due di loro, Giulia e Sabrina, in un bar, non lontano dalla zona universitaria di Torino. Ne è venuta fuori una chiacchierata che ci porta a scoprire quattro donne, quattro sognatrici entusiaste, ma anche una chiacchierata su come loro vedono e che cosa si può ancora fare con il teatro.
Una buona occasione per scoprire dove vanno e dove vogliono andare qualcuna di queste nuove realtà e nuove figure del teatro, capire come si confrontano con il mondo della cultura di oggi e come questo risponde loro.

Paolo Ferrara – Cominciamo dalle basi: che cos’è Terra Vergine?

Giulia Berto – Terra Vergine è, professionalmente parlando una compagnia teatrale. Una compagnia di quattro ragazze che hanno origini differenti e che hanno unito le proprie esperienze in un lavoro comune. Non solo teatrale perché qualsiasi progetto ci interessa, anche oltre l’ambiente teatrale.

P.F. – Quindi non soltanto una compagnia di quattro attrici…

G.B. – Esatto. Io non mi definirei soltanto un’attrice. Nessuna di noi è soltanto un’attrice. Ognuna di noi ha un interesse verso l’arte in generale… Per esempio Sabrina ha lavorato con la danza e scrive poesie e organizza salotti letterari. A me piace pensare il teatro in un percorso educativo, insegno teatro e anche io ho un trascorso di danza e mi piace pensare anche ad un teatro non solo di parola. Federica lavora tanto con i bambini, è un’educatrice. Chiara è legata ad un percorso legato alla realtà della donna.

P.F. – E queste caratteristiche “esterne” al ruolo di attrice hanno trovato un loro spazio all’interno del progetto Terra Vergine?

G.B. – Certamente. Ad esempio, noi abbiamo collaborato con questo gruppo di donne che si ritrovano periodicamente per parlare del rapporto madre-figlio, marito-moglie, il contesto familiare e così via. Il progetto prevede degli interventi teatrali per mostrare determinate situazioni. Ad esempio, parlando del rapporto madre e figlia ci chiedevano di creare una scena, un improvvisazione sulla tematica. Alla fine di questo laboratorio abbiamo messo in scena una rappresentazione tratta dalla Comencini che appunto parlava di quello che le madri passano alle figlie. Insomma, parallelamente quello che potrebbe essere il nostro progetto comune è quello di provare ad applicare il teatro e le nostre vene artistiche anche ad altro, non soltanto allo spettacolo fine a se stesso.

Sabrina Scolari – Il fatto che ognuna di noi quattro abbia interessi specifici sempre in ambito artistico ma magari diversi, secondo me ci aiuta a creare i nostri progetti. Per esempio, il nostro spettacolo “Rosso di Siria” è nato per l’interesse che ha Chiara verso il mondo femminile in generale. L’Hammam per me è nato perchè, essendo antropologa, mi interessa molto un percorso che si chiede cosa significa l’hammam, com’è nato, etc.

P.F. – Hai citato due progetti: diamo qualche coordinata per far capire a chi sta leggendo questa intervista di cosa stiamo parlando.  

G.B. – "Rosso di Siria" nasce un anno e mezzo due anni fa. In realtà è nata contemporaneamente all’ "Ascensore", solo che l’ "Ascensore" ha poi preso il sopravvento. "Rosso di Syria" nasce come una serie di letture. C’erano questi tre personaggi che si confrontavano su tematiche di estrema attualità cioè la situazione siriana, la donna nel conflitto siriano. Chiara però, nel tempo intercorso dall’origine del progetto ad oggi, ha studiato diverse fonti ha analizzato la tematica e da lì è nato lo spettacolo. La guerra è sempre vista dal lato maschile: chi comanda è l’uomo, chi combatte è l’uomo. Ci si è chiesto: e le donne? Dove sono rimaste? Che fine hanno fatto? Ecco, Chiara ha voluto indagare questo aspetto.  

S.S. – Chiara lo ha trasformato e adesso lo spettacolo parla specificatamente della situazione curdo-siriana, che è particolare rispeto alla condizione della Siria in generale. La cosa che a me piace dello spettacolo è che il conflitto è il sottofondo in cui viene raccontata in realtà una storia quotidiana di una madre, di una figlia e di una giornalista che da loro viene ospitata, quindi tre donne all’interno di una casa. Una situazione molto semplice in realtà, per cui è molto più vicina alle persone che lo vedono. Perché in realtà è la storia di tre donne come potremmo essere noi. La straordinarietà che viene fuori è tutto quello che ci ruota intorno.


ROSSO DI SYRIA: La guerra che non si vede
Testo: Chiara Porcu
Regia: Teodoro Bungaro
Interpreti: Federica Barbaglia, Giulia Berto, Sabrina Scolari
Violinista: Enrico Belzer

“Ogni volta che guarderai la tua cicatrice ti ricorderai della donna forte che sei e la mostrerai con orgoglio al mondo intero. Perché cuore e cervello non tracciano frontiere..non dimenticarti di amare splendida creatura perché domani tu sei viva.”

Lo spettacolo
“Rosso di Syria La guerra che non si vede” è uno spaccato di vita quotidiana, un momento della giornata, la pagina di un libro: è la storia di donne e di uomini, di paesi, di relazioni, di amore. Tre donne: una giornalista italiana, una madre curda ed una ribelle creano uno spiraglio che permette al pubblico di spiare un momento della loro vita e della loro quotidianità. Attimi difficili in cui la giornalista italiana cercherà di capire la situazione di un paese devastato dalla guerra, compiendo così un viaggio alla scoperta non solo della Syria, ma anche di se stessa, dalle paure più profonde agli affetti più cari. La situazione Curda Siriana diventa così una traccia che ci aiuta a dare valore alla vita. Una storia d’amore, dunque, che parte dall’anima e che all’anima della gente vuole arrivare.


G.B. – Rosso di Siria è anche un evento, nel senso che l’idea è quella di abbinare allo spettacolo una serie di immagini create da un writer, Roberto Lotrecchiano, un artista di strada, che usa una tecnica miste, usa spray ma anche acrilici, che si è specializzato nel dipingere volti di donne mediorientali. Ci piacevano molto le immagini che aveva creato, queste bellezze che non conosciamo molto bene e che questi quadri mettono in risalto molto bene. L’idea è quindi quella di portare anche una serie di testimonianze e siamo alla ricerca di un mediatore che abbia voglia di gestire, dopo lo spettacolo, un dibattito che sia, più che politico, informativo. Da un lato non vorremmo essere troppo legati ad un informazione di tipo giornalistico, dall’altra è però necessaria visto che si tratta di un tema attuale, in continuo divenire e di renderlo in modo più oggettivo.

S.S. – L’Hammam invece è nato perchè mi incuriosiva usare il teatro, le figure teatrali, che in questo caso sono quattro muse, per raccontare altro, in questo caso che tipo di percorso si fa in Hammam. Quindi raccontare le varie fasi e cosa c’è dietro queste fasi per riscoprire qualcosa che attualmente nella nostra società è un po’ lontano, cioè riscoprire il tempo dedicato a se stessi, il tempo dedicato alla cura di noi non inteso solo come bellezza estetica. Cura di noi, tempo per noi: avvicinarsi ad un idea di sacro non in senso religioso. Prendersi tempo per il proprio benessere, in un senso proprio materiale.


Note su l’Hammam: Mille e un Hammam non è uno spettacolo canonico, ma un viaggio che si realizza proprio all’interno di un Hammam, dove quattro personaggi, quattro Muse perse nei vapori del tempo, accolgono e accompagnano gli astanti nelle varie fasi del percorso all’interno della struttura, in gioco dove con ironia ne racconteranno le origini e le peculiarità per scoprire l’importanza e la sacralità di uno spazio di tempo dedicato alla cura di se stessi.


P.F. – Da quanto tempo esiste Terra Vergine?

S.S. – Da due anni. In realtà Terra Vergine è nata perchè abbiamo fatto un anno di laboratorio con Andrea Battistini dello stabile, quindi sarebbero tre anni, ma ufficialmente sono due.

P.F. – Rispetto al momento in cui avete deciso di formare questo gruppo, a che punto vi trovate rispetto i vostri obiettivi?

S.S. – Beh, il nostro inizio è stato una tempesta. Abbiamo litigato, c’erano casini… non è stato semplice. Io poi devo dire che non credo tanto alle compagnie territoriali. Penso che una volta uscito da un’accademia devi lavorare fuori, quindi all’inizio ero assolutamente contraria. Invece, per quel che mi riguarda, mi sono ricreduta. Avendo quattro personalità diverse ognuna di noi si è ricavata un po’ il suo ruolo. Tutte e quattro ci crediamo per cui ci stiamo veramente svenando, ci stiamo dando l’anima e secondo me i risultati quest’anno iniziano a vedersi. Noi siamo partite dal niente, non ci conosceva nessuno: tutte e quattro venivamo da fuori quindi abbiamo dovuto crearci il nostro territorio. Quest’anno hanno iniziato a richiamarci tutti, abbiamo replicato tante volte, abbiamo sempre ricevuto recensioni positive… io sono contenta.

G.B. – Condivido con Sabrina l’idea sul nostro inizio. Al di là del fatto che ancora oggi, pur essendo un gruppo, abbiamo comunque la necessità di conoscere e fare esperienze al di fuori, di studiare ancora… A differenza sua io sono una persona molto indipendente, con difficoltà anche nella mia vita a legarmi con qualcuno, a fidarmi di qualcuno e secondo me, quello che sta funzionando molto bene oggi è la fiducia che riusciamo ad avere reciprocamente. Anche difronte alle incomprensioni…

S.S. – (sottovoce) alle mestruazioni…

G.B. – Riusciamo anche a chiederci scusa, a dirci “ho sbagliato”, ad essere più morbide. Non proseguiamo oltre con le discussioni a meno che non sia per crescere. Ci stiamo riuscendo e poi in questo momento in cui ci sentiamo dire continuamente che è difficile, ed è difficile, che è impossibile, e alle volte sembra davvero impossibile, in un modo o nell’altro però ci sono delle risposte e forse la nostra di risposta è dire, ok, noi non pretendiamo niente, non ci crediamo nulla, non ci crediamo migliori, peggiori o speciali rispetto ad altri. Semplicemente abbiamo alle volte delle cose da dire. Ti diciamo: ti posso dire una cosa? Hai voglia di ascoltarmi? Sei hai voglia di ascoltarmi ti racconto una cosa, se poi non ti piace pazienza, ci tenevo solo a raccontartela e raccontartela bene.

S.S. – Ecco quello che dicevamo prima. Quello che mi piace dei nostri progetti è che nascono perché qualcuna di noi aveva qualcosa da dire.

P.F. – In questo momento un po’ complicato, cosa vi aspettate per il futuro di Terra Vergine?

S.S. – Sai cosa mi ha stupito? Il periodo è davvero difficilissimo, davvero, ma sarà proprio per questo, soprattutto nel giro dell’ultimo anno, che le persone con cui siamo entrate in contatto ci hanno aiutato tantissimo. Solidarietà. Gente che crede in noi e proprio perchè il periodo è difficile dice “vi faccio questo”. Noi ci siamo ingrandite tanto anche e soprattutto grazie all’aiuto di tantissima gente che gira intorno a noi. Gente che ringraziamo come Stefano Semerio, il nostro ufficio stampa, Fulvia Roggero, il Flac Lab che ci realizza i video, Checkmate, Elisabetta Galli per la collaborazione in Rosso di Syria, Marco Picchirallo per le foto della compagnia, il nostro tecnico Riccardo Marrocco, la Rete Teatro Moncalieri.    

P.F. – Per una realtà come la vostra, cosa significa in questo momento trovare spazi, trovare disponibilità? Seguendovi un poco ho notato come quasi sempre avete a che fare con spazi alternativi ai canonici teatri.  

S.S. – Io ho notato che attraverso la via ufficiale, quella di comunicazione, anche attraverso l’ufficio stampa, è veramente difficile entrare. Sarà una certa diffidenza, forse perché siamo nuove, ci hanno risposto in pochi rispetto alla mole di mail che abbiamo mandato. Quello che ha funzionato nell’ultimo periodo è gente che è venuta a vederci è a detto “funzionate, ne parlo con…”.

G.B. – Si parla tanto di come questo periodo sia difficile… io però non riesco a dare una reale risposta alla questione, perché io vivo oggi. Non facevo l’attrice dieci anni fa, venti anni fa. Lavorativamente parlando non c’ero, quindi non so se fosse davvero più facile. Lo sento raccontare, ne sento parlare. Oppure sento spesso dire “perché all’estero, perché fuori”… io dico che secondo me la cosa importante è lavorare, lavorare con onestà, non demordere, bussare alle porte. Se devo pensare al nostro futuro, credo che la cosa importante sia che continuiamo con onestà a fare quello che facciamo. Poi ci possono essere difficoltà. Poi magari le pretese si alzano. Forse ora non ci aspettiamo niente, ora tutto ciò che arriva è bellissimo. L’importante è continuare a ricordarsi perché ho cominciato a fare questa cosa, ricordarsi che cos’è che mi spinge, cercare di ricordarsi del fuoco e l’origine da cui nasciamo.    

P.F. – Cosa ne pensate del teatro torinese?   

G.B. – Se parliamo della situazione del teatro torinese attuale, di nuovo devo dire non ho dei seri paragoni rispetto ad un passato. Io, essendo veneta, ho un’altra visione delle cose: a casa mia è un buco nero. A Torino trovo che ci siano invece tante piccole possibilità e poi c’è voglia di fare, c’è voglia di creare. L’unica cosa è che dobbiamo ricordarci sempre di condividere, invece di mantenerci tutto stretto. Non bisogna aver paura e trattenersi le cose, anche perchè poi, dove vai?

P.F. – Lo spettacolo con cui state girando parecchio è “L’Ascensore”. Visto che tu (Giulia) lo hai anche scritto, raccontaci com’è nato.
G.B. – L’ascensore è nato ancora una volta senza alcuna pretesa: avevamo concluso questo percorso con il regista Andrea Battistini e abbiamo iniziato a collaborare studiando prima una piccola piece della Comencini. Poi salta fuori la possibilità di partecipare a questo concorso teatrale a Santena, così ci siamo dette: visto che ci troviamo bene a collaborare, perchè non proviamo a creare una storia? Ognuna di noi ha dato vita ad un personaggio e ha scritto un proprio monologo. Di quello in realtà è rimasto davvero poco, se non il nucleo dei personaggi. Abbiamo avuto l’occasione di portarlo a Santena nel gennaio del 2015 e da li ci siamo impegnate per farlo crescere. Poi per una serie di questioni pratiche quella che ha avuto il tempo di farlo sono stata io. Ho preso qualche spunto da un romanzo di Fruttero, Donne Informate sui fatti, in cui mi ha colpito come lui sia riuscito a delineare l’animo femminile e certi modi di pensare di una donna e qui e lì da altre cose (nella figura della casalinga c’è qualcosa di Casa di Bambola). Poi all’epoca abbiamo poi avuto un incontro con Paola Tortora che ci ha dato alcuni consigli. Così è nato lo spettacolo che andato in continuo divenire. Alcuni dialoghi ad esempio li ha scritti Sabrina, mentre ci sono altri spunti che mi sono arrivati da Chiara e Federica.

S.S. – Altre cose sono nate improvvisandole in scena.


Video romo dello spettacolo: https://www.youtube.com/watch?v=lhEe79KZ5vE  

LO SPETTACOLO:
Scorcio di vita quotidiana in un condominio. Nello stesso pianerottolo ci sono gli appartamenti di quattro donne: una casalinga, una praticante in
avvocatura, una tassista ed una ballerina. Abitano una accanto all’altra, ma non si conoscono. Pianeti che ruotano attorno allo stesso sole, si
sforano, ma non interagiscono. Intuiamo a poco a poco le loro storie, il loro lavoro, la loro vita sentimentale, i loro movimenti abituali, di
tutti i giorni. Donne moderne, ognuna nel proprio mondo, sicure di sé, sempre di corsa, con poca voglia di guardarsi attorno e guardarsi dentro.
Un evento banale interrompe la loro routine: l’ascensore del palazzo si blocca con le quattro donne al suo interno. L’attesa è lunga. Cosa succede ai quattro personaggi quando sono costretti a fermarsi? Quando l’attesa le porta a rifettere scavando in profondità? Cosa c’è da indagare al di là della “zona di comfort”? Lo spazio-tempo nell’ascensore si dilata permettendo la ricerca di possibili risposte. Ognuna delle quattro protagoniste racconta, senza accorgersene, qualcosa di sé: desideri, dubbi, paure; parlano come non hanno mai fatto, nemmeno con se stesse. La differenza apparente che le divide non è più così profonda: sono tutte e quattro donne, con tutto quello che comporta esserlo. Quando le porte dell’ascensore si riapriranno, qualcosa in loro sarà cambiato?
Avranno ascoltato le domande che il tempo-immobile ha permesso loro di porsi o fngeranno che tutto sia uguale a prima? Un dolce e ironico ritratto di donne contemporanee.


P.F. – Io ho avuto la possibilità di vederne purtroppo soltanto un estratto, però già si riconosce una cosa di cui avete parlato all’inizio di questa intervista. Dentro questo spettacolo ci sono alcune cose, come ad esempio i momenti in cui ballate, che in qualche modo mescolano un poco le carte teatrali, e ci si ritrova la presenza delle vostre diverse personalità…

G.B. – In ognuno dei personaggi c’è un po’ di quello che penso di certi stereotipi di donna.  

P.F. – Ecco, una delle cose che colpiscono dello spettacolo è proprio l’idea di poter dare una sbirciata all’interno di uno stereotipo…

G.B. – In realtà io non sono una scrittrice, di conseguenza anche il mio modo di scrivere è molto “casuale”: non ho seguito uno schema preciso. Dentro c’è un pensiero sul mio essere donna e sull’essere umano in generale. Io condivido molto il pensiero pirandelliano dell’Uno, Nessuno, Centomila, quindi quest’idea che escano fuori stereotipi che poi in realtà hanno mille sfaccettature. Questa società ci impone dei ruoli che diventano sistematici. Poi nella vita ci capitano situazioni, come il blocco di un ascensore, che ci permettono di esplorare diverse possibilità. Noi potremmo essere qualsiasi cosa. Poi tendiamo in una direzione piuttosto che un’altra, però se ci dessimo la possibilità di parlare con tutti i nostri frammenti, potremmo essere un po’ di tutto.   

S.S. – In realtà, pensando alle prime domande che siamo fatte, l’Ascensore è nato dalla domanda: quando queste quattro persone si trovano chiuse nello spazio e nel tempo, che cosa possono fare? Tutto quello che si veniva in mente si potesse fare lo abbiamo portato all’estremo. Stessa cosa pensando al personaggio: tu nella tua vita quotidiana porti in scena il tuo personaggio. Ma nel momento in cui ti si chiude lo spazio, ti si chiude il tempo, che cosa esce fuori? In quell’ascensore si aprono delle porte… che cosa succede a questo personaggio? Che digressioni fa, che direzioni prende? Cose che magari nella quotidianità non farebbe vedere mai.

P.F. – Avete altri progetti in cantiere di cui si possa già dire qualcosa?

G.B. – No!

S.S. – No! Ce ne sono due nuovi ma non è ancora il momento di parlarne.

P.F. – Grazie per essere state qui con noi di Gufetto. Di seguito daremo gli estremi per tenervi d’occhio: noi lo faremo sicuramente, magari presto recensendo uno dei vostri spettacoli!                     

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Contatti compagnia Terra Vergine
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tel: (+39) 349 454 53 70 – (+39) 320 267 10 38

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