Intervista a GIANCARLO SEPE: fra Amletò e Ricerca al Teatro La Comunità

Fino all’11 dicembre al Teatro La Comunità va in scena AMLETÒ di Giancarlo Sepe. Uno spettacolo imperdibile, grottesco, ispirato a Shakespeare ma “rapito” da suggestioni da cinema francesi articolate e profonde. Un lavoro accuratissimo svolto dalla Palestra per l’Attore sotto la guida di Giancarlo Sepe.

Lo incontro nel suo camerino. Mi ci conduce superando una piccola porta chiusa che separa il bel Foyer antistante la biglietteria, di solito sempre ingombro di spettatori. È un pomeriggio tardo ancora pieno di luci che filtrano dalla porta appena socchiusa per permettere l’ingesso degli interpreti. Veloci e silenziosi, i primi attori della Palestra per l'Attore scivolano alle mie spalle sussurrando un saluto, oltrepassando le scure pareti coperte di versi di Bertolt Brecht scritte di bianco. Manca ancora più di un’ora ad AMLETÒ ma lo spazio di via Zanazzo, a Trastevere, va via via animandosi. E Sepe mi conduce oltre la porta che conduce alle quinte, nel suo camerino, nel suo lavoro di ricerca. Uno spazio angusto ma suggestivo, pieno di libri. Lo immagino qui le sere, a scrivere i suoi testi, in un’atmosfera polverosa e magica.

L’intervista comincia…

Antonio Mazzuca (A.M.) – Il suo nuovo spettacolo, AMLETÒ, è in scena al Teatro la Comunità (fino all’11 dicembre). Voi fate teatro di ricerca, una ricerca che ha mosso anche il precedente “DUBLINERS”(annuisce)…Che tipo di ricerca c’è dietro AMLETÒ?

Giancarlo Sepe (G.S.) – Questo spettacolo nasce da una Compagnia che deriva dalla Palestra per l’Attore dalla quale ho preso tutti gli attori e che, a differenza di altre scuole, “esprime” l’attore che va in scena. Il 100% degli attori che fa AMLETÒ è compagnia che viene dalla Palestra, Questo per me è importante perché è una bella compagnia che risponde ai canoni della ricerca legata alla Musica, tutto si lega alla Musica e dalla Musica partono stimoli, suggerimenti, stati d’animo, scelte… È una ricerca che porto avanti da moltissimo tempo su questa base, certo poi si evolve e si involve a seconda del periodo, però, siccome questi spettacoli sono andati bene, continueremo su questo livello…spero (sorride).

 

A.M.Perché proprio Amleto? Cosa la inquieta in questo personaggio?

G.S. – Non mi ha inquietato nulla, tanto non avevo nessuna voglia di farlo, l’Amleto (ammette serafico). Questo riguarda molto la ricerca e la contaminazione : un testo che nasce in un modo e poi si contamina con certo cinema, per esempio, per esempio il cinema di Marcel Carné, con la sua opera prima Hôtel du Nord.

Essendo io un cinefilo incallitissimo, preferisco andare al cinema piuttosto che a teatro. Il cinema è molto più evoluto, molto più trasgressivo e imprudente. A teatro bisogna stare attenti a “non offendere” a “non tirarsi dietro le ire di”… almeno quando ho cominciato io, nella ricerca, quando però eravamo un po’ i “demoni del teatro”, non avevamo canoni, clichè.

 

A.M. –In una sua passata intervista rilasciata in occasione del Festival di Spoleto, si parlava della necessità di tradire il teatro, il testo non seguire pedissequamente le didascalie ma trovare nuove modalità espressive. Ma qual è il confine fra il tentativo di rivisitare il testo e traviarne il senso?

G.S. – Io non faccio teatro divulgativo non sono un accademico o uno scolastico. Io credo che un testo, una volta che viene editato e consegnato agli altri, appartenga agli altri, uno può farne quello che vuole del testo, lo può anche tradire, perché” tradire” significa vuol dire avere un’idea che nei rispetti del testo, ne contamina il senso e le modalità espressive, come nel caso di Amletò, e diventa qualcosa di particolare. E io ho voluto fare questo. Del resto, c’era bisogno di fare un’altra versione di Amleto? No, anche se alcuni direbbero di sì, che c’è sempre bisogno di rivisitazioni—ma io non sono né un divulgatore, non lo voglio essere né mi interessa di essere filologo o professorale o archeologo.

 

A.M. –In un’altra intervista parlava di “dittatura della musica”: ciò mi riporta a Dubliners che mi aveva colpito per la Musica, in particolare certe scelte come Max Richter

G.S. – “con Memoryhouse!” (si illumina)

A.M. –Sì! Un canto di addio…E mi chiedevo se la musica non dovesse proprio “dominare il palco” essere un’altra protagonista in Dubliners…

G.S. – Questa “dittatura della musica” vale per me, ovviamente, non è che io voglia imporla…ma la mia lettura del testo passa sempre attraverso una evocazione dettata dalla musica e questo contribuisce ad alimentare lo spettacolo, a creare delle nicchie di interesse particolare, a sviluppare dei lati invece che altri… La musica ha la stessa drammaturgia del testo, solo che è più libera.

A.M. –Invece, in AMLETò la musica?

G.S. – In AMLETÒ siamo partiti da una musica da “Les Enfants du paradis”, un film di Carnè in cui c’èuna pantomima famosissima che ho usato per presentare i personaggi. E poi siamo andati liberi fra musiche di Desplat, Fauré, Carter Burwell, tutti autori di colonne sonore.

 

A.M. – Con riferimento alla vicenda giudiziaria che ha coinvolto il teatro La Comunità, in una intervista al tg3 parlava della sorte dei teatri di ricerca, sul fatto che un tempo, negli anni ’70, c’era più teatro di ricerca e più attenzione delle Istituzioni all’idea di teatro di ricerca. Ora la situazione mi sembra decisamente contorta…
G.S. – Impoverita
A.M. –Qual è allora il ruolo che può svolgere il mondo off per la ricerca?
G.S. – Io penso che il ruolo del mondo off sarebbe quello di non avere ruoli, e affermarsi solo per le cose che fa. Per esempio, noi facevamo parte tutti, diciamo, di un Movimento, ma tra me e gli altri non c’era neanche la conoscenza a volte : forse a volte andavo a vedere qualcosa di loro, forse loro venivano a vedere me ma …forse, senza confrontarsi senza niente. La cosa importante è la ricerca e la libertà e la libertà di chi pensa di fare teatro, se pensiamo agli anni’ 70 sta nel fatto che molte persone non erano teatranti ma pittori scultori e musicisti che però volevano praticare il teatro e c’era la libertà di farlo perché c’erano i piccoli spazi che non hanno abbonamenti o clientelismo, sono molto più propositivi. Ed il teatro ha bisogno di proposte che si innovi, che presenti nuove sollecitazioni, invece che morire fra un tempo e l’altro (amaro).

 

A.M.Che messaggio cerca di comunicare ai suoi attori nella Palestra? Qual è il primo consiglio che da ad un attore che cerca di introdursi nel mondo del teatro e affronterà un mondo pieno di insidie?
G.S. – Bisogna far parlare se stessi, se uno crede in se stesso riesce a essere qualcosa e non trincerarsi dietro delle cose che non lo esprimano o non lo facciano esprimere appieno o che passa attraverso canoni e cliché che non sollecitano il senso dell’unicità che ciascun attore rappresenta. Ecco nella Palestra io dico: c’è la vostra Unicità che può essere innovatrice anche per il regista che nella ricerca non sono autoritari e basta ma si scambiano idee e proposte. Badare a se stessi, alla propria capacità di essere qualcosa!

A.M. – Cos’ha in serbo Sepe? Dove va la ricerca di Sepe?

G.S. – Beh io quest’anno finisco con tre spettacoli. Il prossimo è “Washington Square” dal romanzo di Henry James, in estate “Barry Lindon” dal romanzo di Thackeray e poi a settembre e ottobre con “ I dolori del Giovane Werter” di Goethe.

A.M. – Quindi andiamo dalla Germania all’Inghilterra…

G.S. – Si perché questo faceva parte di un programma “Il Teatro e il Romanzo” che dovevo presentare all’Eliseo (e poi sappiamo che è successo) una triennalità dedicata al romanzo nel teatro, per avere nuovi spunti: basta testi riferiamoci ai romanzi e vediamo cosa accade…

A.M. – Dai romanzi poi emergono suggestioni che vanno al di là del racconto stesso: nei Dubliners erano tutti i ritratti di James, lei invece ha ampliato ogni singolo ritratto dandogli tutta un'altra veste…

G.S. – L’ho ampliata talmente che dei particolari sono diventati i protagonisti e i protagonisti sono diventati spogli!

A.M. – E questo dobbiamo aspettarci dalle prossime opere?

No ogni opera fa capo a sé …vedremo.

Intanto ringraziamo Giancarlo Sepe per la disponibilità dimostrataci e invitiamo tutti a seguire AMLETO' e tutta la stagione del Teatro La Comunità!

BIGLIETTO RIDOTTO A 7 EURO PRENOTANDO COME LETTORI DI GUFETTO!!
T: 06 5817413-3291677203
M:  teatrolacomunita@gmail.com

image_pdfSCARICA QUESTO ARTICOLO IN FORMATO PDF