Abbiamo assistito alla proiezione del film del regista giapponese Shinya Tsukamoto dal titolo HOKAGE – Ombra di fuoco, presso il cinema Quattro Fontane di Roma nel contesto della rassegna DA VENEZIA A ROMA E NEL LAZIO che si svolge dal 21 al 29 settembre 2023 e permette di vedere le pellicole presentate alla Mostra Internazionale di Arte Cinematografica che ha luogo nei primi giorni di settembre nella città lagunare. Il film di Shinya Tsukamoto che vede tra i protagonisti Shuri, Oga Tsukao, Hirochi Kono e Mirai Moriyama, è stato presentato nella categoria Orizzonti al festival veneziano riscuotendo lusinghieri consensi dalla critica.
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HOKAGE: uno sguardo pietoso sulle rovine lasciate dalla guerra

Il film è ambientato nel Giappone del post Seconda guerra mondiale e nello specifico, almeno nei primi quaranta minuti, in una piccola locanda gestita da una donna, che durante il conflitto ha perduto il marito e il figlio e che tira avanti prostituendosi. Cominciano a frequentare la casa un piccolo orfano di guerra, che vive di piccoli furti e un soldato ex insegnante che poi si scopre pesantemente danneggiato psichicamente dall’esperienza bellica. Per un certo periodo i tre sembrano vivere una certa solidarietà affettiva che dà alla donna la sensazione di una famiglia, ma ben presto il disagio dell’uomo manda tutto all’aria. Il secondo atto del film indugia invece sull’orfano, che dopo aver incontrato un uomo al mercato nero lo segue per inseguire la non meglio precisata offerta di lavoro che questo gli aveva fatto e che non sveliamo in questa sede.
SHINYA TSUKAMOTO: lo sguardo sull’anima violata
Il regista nipponico classe 1960 si è reso celebre alla critica per le sue proposte in chiave cyberpunk dove viene sublimata l’analisi del rapporto uomo-macchina, come anche l’alienazione e la fragilità dell’essere umano. Proprio il tema della fragilità appare essere il tema di questo film che sembra completare il discorso già iniziato con i film Nobi del 2014 e Zan del 2018. Gli intenti del regista sono deliberatamente dichiarati nel denunciare la guerra e, nello specifico, la violenza che si esercita sugli uomini obbligandoli ad uccidere i loro simili.
HOKAGE: personaggi senza identità

Ciò che si nota immediatamente nel film è il fatto che i personaggi non hanno un nome. Sia la donna che il soldato e il bambino sembrano aver perso la loro identità e vagano tra le macerie come fantasmi in cerca di un barlume di sopravvivenza. Singolare la vicenda della donna, la quale non esce mai dalla piccola casa-locanda, a sua volta divisa in una parte pubblica e una privata, posta dietro una porta sempre chiusa, dove conserva le memorie dei suoi affetti perduti. L’unico personaggio del quale veniamo a conoscenza della sua identità è l’uomo che offre il misterioso lavoro al bambino: pronuncia il suo nome però, solo nel drammatico momento nel quale si riappropria della sua identità e decide di fare i conti con il passato.
HOKAGE: ombre infuocate
Le inquadrature del film sono perfettamente funzionali alla narrazione. Nello spazio ristretto della casa-locanda della donna, il regista indugia con profondi primi piani che si alternano con la ripresa degli interni fatiscenti della casa, quasi a creare delle analogie tra la devastazione materiale e quella spirituale, ombre di fuoco appunto, apparentemente spogliate di umanità, derubate di certezze ma inquiete. Una rappresentazione angosciante di una realtà senza speranza, nella quale però si mostrano sprazzi di tenerezza, affioramenti di umanità come le lacrime sul volto del bambino provocate dai rimproveri della donna o come i sorrisi della stessa nel momento nel quale sembrava aver ricostituito un surrogato di famiglia.
HOKAGE: molte ombre sulla scena
Meraviglioso è l’uso della luce sul set. Le vicende che si svolgono all’interno della casa sono prevalentemente avvolte da una calda luce dai toni low-key, una luce pittorica che disegna i contorni dei volti ed esalta le ombre, che solo raramente vengono squarciate da lame di luce provenienti dall’esterno. Le ombre sulla scena suggeriscono un desiderio di nascondimento da parte della donna, mentre il bambino e il soldato sembra che nelle ombre cerchino riparo dalla devastazione fisica e morale presente al di fuori.
OMBRA DI FUOCO: nel limbo alla ricerca della speranza

Violenza genera altra violenza, di questa legge non scritta in nessun codice ma portatrice di verità, Tsukamoto si impadronisce con autorità, realizzando un film dall’alto valore etico, dove ad esempio si demonizza l’uso delle armi, come non se ne vedono molti nella nostra epoca. Ripercorrendo i passi, seppur con un altro stile, di un Mizoguchi, punta l’obiettivo sugli ultimi (e le donne) della storia e mostra, al contempo, i danni provocati dalla follia del potere. In maniera simbolica lo fa attraverso gli occhi di un bambino che non ha mai conosciuto la felicità, che dagli adulti ha conosciuto solo violenza, prevaricazione e disperazione, il quale, come un novello Edmund rosselliniano, si muove tra le macerie provocate dagli stessi adulti. La visione di Tsukamoto però diverge da quella di Rossellini e la differenza tra le due proposte si esalta nel finale: se Edmund, privo ormai di speranze, si suicida tra le rovine, venendo così inghiottito da queste, il bambino giapponese mette a frutto quel poco amore che la donna e il soldato in un tempo ristretto gli avevano mostrato (donato), costruendosi a fatica un substrato di pietà e solidarietà dal quale tentare di ricostruire quell’umanità perduta costellata di ex combattenti con lo sguardo perso, folli che gridano da dietro le sbarre, personalità ferite in cerca di vendetta e venditori ambulanti senza scrupoli.
Visto il 26 settembre 2023
Regia, Sceneggiatura, Fotografia e Montaggio: Shinya Tsukamoto
Musica: Chu Ishikawa
Suono: Masaya Kitada
Produzione: Kaijyu Theater
Durata 96’