Incontriamo Hannu Palosuo, artista finlandese nato a Helsinki nel 1966. Vive a Roma dal 1989, dove ha frequentato l’Accademia delle Belle Arti e la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi La Sapienza, con indirizzo Storia dell’Arte Moderna. Le sue opere sono presenti in numerose collezioni pubbliche di molti paesi del mondo: Argentina, Finlandia, Germania, Giappone, Giordania, Italia, Siria, Spagna, Svezia, Turchia, Uruguay. Ha partecipato tre volte alla Biennale di Venezia (2009, 2011, 2013). Attualmente è in corso (dall’11 aprile al 2 maggio) la sua mostra personale My Dream is Alive, curata da Manuela Vannozzi, presso il complesso monumentale archeologico delle Case Romane del Celio. Centrale nella poetica di Hannu Palosuo è il tema della memoria e del ricordo.
Paola Brigaglia.: Quali sono i tuoi soggetti preferiti e perché?
Hannu Palosuo.: Prediligo soggetti legati al contesto della vita quotidiana, oggetti che si trovano nelle case di tutti. Per anni ho dipinto solo sedie o lampadari. Per me è importante che lo spettatore senta una familiarità con le immagini che dipingo e possa instaurarvi un rapporto immediato. Anche se in realtà la parte più importante dei miei quadri è l’ombra. L’ombra è realizzata come se fosse un doppio dell’immagine, non è la vera ombra così come dovrebbe essere in natura. L’occhio non ci fa caso guardandola, ma il cervello se ne accorge e si rimane in qualche modo un po’ spiazzati. A volte le ombre che dipingo sono completamente diverse dal soggetto a cui appartengono e questo stimola e mette in moto l’immaginazione di chi guarda. Sono molto interessato al rapporto tra l’opera d’arte e lo spettatore.
P.B.: Come è cambiato il tuo stile nel tempo?
H.P.: La pittura scandinava è meno materica di quella mediterranea, è più sottile. Col passare del tempo nei miei quadri è aumentata la quantità di materia. Le linee sono rimaste fondamentalmente le stesse. Ciò che amo variare sono i colori e i materiali usati. In questo modo, pur con le stesse linee, le emozioni suscitate risultano totalmente diverse.
P-B.: Quali colori prediligi e perché?
H.P.: Per anni ho lavorato solo in monocromia, volevo eliminare i colori. Poi sono stato assalito dal dubbio che la poesia dei miei lavori fosse legata soltanto alla loro monocromia e quindi ho aggiunto i colori. Tuttavia, dopo un po’, mi è sorto il dubbio che la poesia dei miei quadri risiedesse tutta nei colori e allora sono tornato di nuovo alla monocromia. Oscillo quindi tra fasi in cui mi avvicino alla monocromia e fasi in cui uso i colori. Inoltre quando sento che la realizzazione dei quadri sta diventando troppo facile, quasi ovvia, mi infastidisco e avverto la necessità di inserire qualcosa di diverso, che renda il lavoro più difficile. Preferisco non sapere già in anticipo come un quadro andrà a finire, dove la creatività mi porterà.
P.B.: È diverso il mondo dell’arte in Finlandia e in Italia?
H.P.: Fino a pochi anni fa era completamente diverso. In Finlandia ci sono tanti artisti in rapporto alla popolazione. In passato c’era una grande abbondanza di sovvenzioni per gli artisti, così il loro numero è cresciuto molto, finché adesso le sovvenzioni sono diminuite. Diventerà anche lì come in Italia, una giungla. In Finlandia poi ci sono i sindacati, è tutto più organizzato. Un’altra differenza è che ciò che interessa ai finlandesi è principalmente la novità, gli artisti giovani. A 50 anni già si è considerati vecchi e si è ritenuti meno interessanti. È un po’ come se a quell’età ormai avessi già detto ciò che avevi da dire. Gli artisti finlandesi di successo spesso continuano a lavorare sempre nello stesso modo. In Italia invece anche in età matura si continua a sperimentare e a rinnovarsi di più.
P.B.. Il luogo in cui si vive influenza il modo di dipingere?
H.P.: Sì. Ad esempio non molto tempo fa lavoravo in un altro studio, sottoterra, in cui le condizioni di luce erano diverse rispetto a quelle del mio studio attuale. C’è anche differenza tra Italia e Finlandia, lì l’aspetto più pesante dell’inverno non è il freddo, ma il buio. Diverse quantità di luce producono effetti diversi nella pittura. Quando i finlandesi vedono le mie opere, si accorgono guardandole, che vivo in Italia, notano soprattutto i colori. Gli italiani, invece, al contrario, sono colpiti dalla monocromia e notano le mie origini finlandesi. Ormai non sono più finlandese, ma non sarò mai nemmeno italiano. Ho lavorato molto sulle mie radici, per esempio con la tecnica della xilografia, molto usata nei paesi nordici.
P.B.: C’è qualcosa che ti colpisce in particolare dell’Italia?
H.P.: Mi piace vivere a Roma, è una città che, rispetto a quelle finlandesi, permette più libertà di movimento, ti ingabbia di meno e ti fa sentire meno vincolato a programmi e incombenze incalzanti. Puoi permetterti di più di essere te stesso. Qui ci sono cerchie distinte, separate, che non si toccano tra loro, non entrano in contatto l’una con l’altra, anche nel mondo dell’arte. È una città piuttosto classista, dove però, per un artista, le porte sono aperte in modo trasversale negli ambienti più diversi.
P.B.: Quale pensi che sia il significato e il ruolo dell’arte nella società? E per l’individuo che la pratica?
H.P.: L’arte deve creare un dialogo e deve far parlare e pensare gli spettatori. Dà emozioni, può a volte magari perfino disgustare, ma anche quella è un’emozione non meno importante delle altre. È molto interessante anche la storia sociale dell’arte, che studia la sensibilità culturale di un’epoca tramite le opere realizzate in un dato periodo. Inoltre, a seconda del momento storico in cui ci si trova, un dipinto può essere letto in maniera completamente diversa, come nel caso di Caravaggio, che nella sua epoca non era apprezzato.
Per quanto riguarda il pittore, per lui dipingere è una necessità, se non lo fa sta male. È un modo anche per capire meglio se stessi, magari a distanza di tempo. Riguardando le proprie opere vecchie si rivive come si era in quel momento e questo a volte ti scuote molto.
P.B.: Quali sono gli artisti contemporanei che ti interessano in particolare? E quelli del passato?
H.P.: Ci sono artisti che mi emozionano sempre, come Anselm Kiefer. La sua arte mi commuove. Ma ricordo anche la forte impressione che mi fece Anish Kapoor ad Ars 95 a Helsinki. Mi sentii come se mi fosse stata tolta la terra da sotto i piedi. Tra gli italiani mi piace molto Piero Pizzi Cannella e anche Mario Schifano. Ma vado a periodi. Tra gli artisti passati, amo due pittrici finlandesi: Helene Schjerfbeck ed Ellen Thesleff. Tuttavia sugli artisti del passato c’è da dire che quelli non validi sono scomparsi e sono rimasti soltanto i migliori. Amo molto la pittura religiosa, ha molto pathos, nel senso positivo del termine “patetico”. Mi piace reinterpretare opere del passato con soggetti sacri in chiave moderna: togliendo i simboli che chiaramente identificano queste figure come “santi”, cerco di cogliere qual è il limite per cui un soggetto viene ancora percepito dall’occhio come, appunto, la raffigurazione di un santo oppure come un individuo qualsiasi.
P.B.: Pensi che ci sia qualche artista che ti ha influenzato nella tua pittura?
H.P.: Tanti, ma con il tempo sono cambiati. Comunque, soprattutto all’inizio, sono stato influenzato dai pittori surrealisti. Magritte, Dalì, anche De Chirico. Forse ancora c’è qualche traccia di Magritte nei miei dipinti.
P.B.: Che cos’è che fa sì che un artista diventi celebre?
H.P.: Per diventare celebri tra i contemporanei contano sicuramente la fortuna e il realizzare lavori validi: nessuno può diventare famoso non essendo un artista valido, se non per pochissimo tempo. Anche il carattere conta molto, quanto si è socievoli, tenaci, coraggiosi. Bisogna essere determinati e tenere sempre in mente il proprio obiettivo.
Per diventare famosi nella storia, il lavoro valido conta ancora di più e anche la fortuna di capitare tra le mani giuste (come è successo a Caravaggio, riscoperto da Roberto Longhi nella prima metà del Novecento).
Foto di Giorgio Benni