DI MALAVOGLIA, GIACOMO @Il Respiro del Pubblico Festival 22: del vivere e morire di Bastianazzo e Matteotti

Il teatro di Michele Santeramo, in scena con DI MALAVOGLIA al Teatro di Cestello, e del Teatro dei Borgia, con GIACOMO [Matteotti] nella Sala Vanni, per Il Respiro del Pubblico Festival 22 di Cantiere Obraz, aprono allo spettatore attento la possibilità di riflessioni oltre la scena.

Di Lorenzo Cervini, Scuola di Critica Teatrale Ciuchi Mannari, Cantiere Obraz

DI MALAVOGLIA: cercare un po’ di morte nella vita

Michele Santeramo

Quante conversazioni con un personaggio di scena servirebbero prima di poterlo interpretare? Michele Santeramo ci pone questa domanda nella sua lezione-incontro con la scuola di critica teatrale dei Ciuchi Mannari.

Quello che indaga ora la scrittura di Santeramo è la relazione che si può rinnovare tra attore, personaggio e spettatore.  “La drammaturgia, se si vuole, è la conseguenza di qualcosa di più privato. Tu hai relazione con quello che sta capitando a me.” In questo spazio interattivo di reciproca esibizione, che ospita il nuovo gruppo di spettacoli “Fantasmi”, la sua lettura ad alta voce DI MALAVOGLIA evoca spiriti della letteratura e della drammaturgia. Questi sono personaggi fissi, che si presentano con le loro esperienze immaginate, costrette nel ruolo assegnato loro da chi li ha generati con la penna. Santeramo realizza la potenza dell’oggetto libro, non solo nel suo valore come documento storico e citazione artistica, ma anche come stazione di incontro, deposito di memoria che rende possibile la trasmissione emotiva. Il parlare vive della vita degli altri e ascoltare veramente gli altri richiede uno di stato di ricezione e coinvolgimento che sia ripetuto, stabile. Quando non si hanno più cose di cui parlare la relazione finisce, non esistono più le condizioni che la univano, è svuotata senza quel punto di incontro. Ma cosa sono queste cose comuni? Perché dovremmo ascoltarci? Per ricercare quel simile che è successo anche a me, le nostre cose sono anche le cose che ci raccontiamo e il racconto di Bastianazzo in DI MALAVOGLIA è un racconto della perdita di tutti. “Siccome nulla non è mai così importante, nulla è veramente importante per parlare.”

Bastianazzo vive col pubblico

Nel romanzo di Verga, i paesani parlano di Bastianazzo già morto prima che la notizia del naufragio arrivi in paese e al suo funerale si radunano per consolarsi della perdita, dell’investimento, più che la sua morte. Bastianazzo è soffocato dalla famiglia e dal prestito a credito di un usuraio, dalla fortuna che tarda a presentarsi, da un futuro oscurato dal pessimismo della guerra e dalla povertà di un piccolo paese di braccianti. La sua figura è la conferma, in letteratura, di un’impossibilità di miglioramento della propria condizione di vita. Quello che Santeramo propone è un incontro, di Bastianazzo con lo spettatore, che conduce con la sua sensibilità di drammaturgo. Nello sconfitto de I Malavoglia, Santeramo cattura una potenzialità di espressione inutilizzata, che gli è possibile attivare nello spazio della scena, dove il fenomeno che si manifesta è la relazione tra bocche e orecchie. Le bocche sono due ma si animano da quella di Santeramo, che appare nel personaggio del monologo e nel personaggio dell’attore Santeramo, interpretato in un’interruzione del dialogo tra Bastianazzo e il pubblico. Nel suo racconto, che avviene nell’invenzione di un episodio da parte del drammaturgo, Bastianazzo decide di prendere voce e di presentarsi a noi con la sola compostezza che un rassegnato può conquistare, uno stato perenne di decorosa serenità. Da uomo annegato, l’immagine del suo naufragio si dilata a un annegare di tutti gli uomini nelle fatiche continue della vita. In mare, nulla si propaga e quello che provoca sommossa in un punto, è inerte in un altro. Bastianazzo è già stato travolto e l’acqua gli ha già riempito i polmoni, per questo motivo non si immedesima con chi è ad agitare le braccia per stare a galla.

Perché bisogna sempre reagire?

È una mattina di lavoro e Bastianazzo per sbaglio cade a terra. In quel momento esatto, decide di rimanere lì steso finché verrà il tempo a raccoglierlo. Non si vuole più alzare, mai più, vuole “restare caduto”, vuole che tutto si annulli almeno per quel solo momento e si chiede qual è lo scopo di continuare. In questo momento di lucidità, vorrebbe scomparire nel terreno, vorrebbe essere lasciato in pace. Sua moglie, i figli, i passanti, lo cercano e vicino al muretto lo vedono, arreso, coraggioso nell’aver voluto dire di aver perso, che tutti intorno a lui avevano perso. Ma non può interrompere l’avanzare della trama, come non può interrompere il corso della storia e allora si alza e torna a quello che è e che è sempre stato, al paese, alla Provvidenza, alla morte che gli è già stata assegnata. “Stare bene per due giorni consecutivi, questa è la mia proposta.” Nessuno può cambiare quello che è stato del testo de I Malavoglia, e neanche in questa riscrittura la conclusione degli eventi si modifica. Quello che Santeramo agisce sul manoscritto è la costruzione di uno squarcio tra le pagine, in modo che sia possibile un nuovo movimento, una nuova luce che esca. Attraverso il filtro della sua memoria, il testo evolve in una forma nuova, personale, come personale è la sua posizione nella memoria di ognuno di noi.

Santeramo dialoga con Bastianazzo

Nello spazio dedicato all’attore, presente è il risultato delle lunghe conversazioni tra Santeramo e Bastianazzo, e la sua posizione risulta sia troppo simile che distante da quello che ci stiamo avvicinando ad affrontare all’uscita dallo spettacolo. L’attore parla con il vissuto dell’incontro già immagazzinato, per cui sono già state individuate le connessioni tra il racconto del personaggio e le sue esperienze quotidiane di vita. Al contrario, lo spostamento della nostra condizione emotiva è appena all’inizio. Ancora colpiti dall’altezza delle parole pronunciate da Bastianazzo siamo fermi alle prime immagini innescate. Quello che Santeramo riesce a presentare nel personaggio è un incontro di chi ascolta con lo stato emotivo di Bastianazzo steso a terra, oggetto di una rivelazione. Riusciamo a vedere noi come lui, stesi, nel suo non volere stare nel tempo, nell’assenza del suo corpo. Permette alle nuvole di apparire e di accendersi, come sono apparse e si sono accese nel suo sguardo, che ci permette di occupare. Ma più importante, parla a ognuno e ci chiama a partecipare a qualcosa di più grande, a un momento di raccoglimento che interrompa, almeno per un attimo, il nostro annegare. Le sue parole risuonano in noi, secondo la nostra predisposizione a farle propagare, con diverse intensità, inferiori a quella elevata di un attore che percepisce le sottigliezze di uno spazio condiviso con un personaggio. Per questo il nostro incontro con Di Malavoglia continua appena attraversata la porta di uscita: nella strada di ritorno, a casa, in un momento prima di prendere sonno.

GIACOMO, Teatro dei Borgia: la voce di chi deve essere ascoltato

Elena Coturno

Povero Matteotti,
te l’hanno fatta brutta
e la tua vita
te l’han tutta distrutta!
E mentre che moriva,
morendo lui dicea:
«Voi uccidete l’uomo
ma non la sua idea.» – Povero Matteotti, canto popolare

Voler tracciare l’evoluzione della musica e delle sue manifestazioni pubbliche, comporta anche ricostruire le condizioni da cui essa è stata generata, studiare l’accumulo di quel pensiero che si distilla negli spazi dove si crea il “comune”, quei luoghi in cui si decide cosa è lecito svelare attraverso l’uso delle parole. A differenza di altre espressioni umane, bisognose di produzione, di un periodo di incubazione e di rilascio, la musica popolare riconosce istantaneamente la realtà e ne propaga l’archivio di esigenze primarie, che siano confessate da un gruppo, da una regione geografica, da una nazione. Emerge improvvisa, spesso su calco di strutture musicali già esistenti e riporta, della richiesta che esige ascolto, lo spirito condensato, semplificato. Il canto di protesta intitolato a Matteotti, citato sopra nella sua prima metà, comincia a inondare le strade nei mesi successivi al suo omicidio nel 1924. Nelle voci dei coraggiosi, Matteotti si trasforma sì nel martire, di fronte alle fiamme, che urla al suo Dio, ma quello che viene urlato, più forte del sacrificio, è che la sua azione di denuncia non è andata persa, che la verità qualcuno è riuscita ad ascoltarla. Il 3 gennaio 1925 Mussolini, riguardo il delitto, pronuncia queste parole in parlamento: “Sono io, o signori, che levo in questa aula l’accusa contro me stesso.” La scomparsa silenziosa del corpo di Matteotti non ha avuto successo e il generale delle milizie fasciste deve confessare la sua colpa, se non di esecutore, almeno di capo dei responsabili. I protagonisti sono ora conosciuti e l’unico modo per farli dimenticare è silenziare la stampa, estinguere i gruppi di opposizione, segnando uno dei punti di inizio del regime dittatoriale in Italia.

GIACOMO [MATTEOTTI]: i discorsi in Parlamento

Ricostruire i fatti, per come sono stati, è uno degli impegni dell’azione politica del deputato socialista e lo è anche per il gruppo del Teatro dei Borgia che ricostruisce con GIACOMO, i due interventi parlamentari che hanno condannato Matteotti al suo omicidio. Il nome proprio presenta gli spettacoli della compagnia. Già a partire dalla loro trilogia della Città dei Miti, con Medea, Filottete, Eracle, la loro scena è interessata da intimità che si aprono con il pubblico, nel loro spazio di azione, con le loro parole, calibrate con misura e attenzione: per la trilogia, con i testi di Fabrizio Sinisi e ora, nel nuovo esperimento di GIACOMO, dal lavoro di limatura del gruppo costitutivo Borgia. Mentre i miti e poi i personaggi delle tragedie, sono riattivati nella loro traduzione moderna in eroi cittadini che realmente esistono, per Giacomo è stata fatta una scelta differente, che non nega il volere della compagnia di portare i fatti della drammaturgia all’azione nel tempo presente della scena. Giacomo è un’apparizione nel corpo di Elena Cotugno, che ne veicola i messaggi, come intermediario tra la scena e lo spirito concentrato della Storia. Si presenta nel suo luogo, il parlamento, ricostruito in una scenografia praticabile di Filippo Sarcinelli, in una forma malaticcia, impolverata, capovolta, che risulta in disuso dopo l’avvento di una catastrofe. Questo è lo stato dello spazio, in cui prima, e ora a teatro, pronuncia i suoi pensieri infiammati. Incaricato a segretario del Partito Socialista e dotato di una vasta cultura giuridica, articola la sua posizione a difesa dell’esistenza del fascismo come in una sala di tribunale. Così racconta la verità con le prove di numerose citazioni di stampa di propaganda, che trasforma in armi contro la stessa materia di attacco della sua opposizione. Il suo è un attacco tecnico, ostinato, che si articola come una vera alternativa di opinione al silenzio steso sulla presenza di associazioni militare nei luoghi della libertà di pratica del governo. Le sue parole di resistenza hanno forte risalto ed entrano nell’opinione della voce politica al pari di quelle fasciste.

una scena di GIACOMO, Teatro dei Borgia

È al termine di questo primo intervento che Elena si alza ed espone un’interferenza del segnale spiritico: dalla bocca del socialista, escono i versi di Giovinezza, l’inno d’Italia del ventennio fascista. Le acque del pensiero politico sono ubriache di fanatismo e i tre anni che passano tra i due interventi mostrano un cambiamento drastico nell’esposizione parlamentare. Tre sono i bicchieri di acqua inquinata che la voce di Cotugno deglutisce e che la trasformano in un Matteotti rassegnato, interrotto, censurato. Versi, insulti, urli lo fermano a ogni passo, quella distesa di dialogo che aveva permesso la lunga presentazione della sua tesi, è ora ricavata dai ritagli di silenzio concordati con il presidente della Camera. A Matteotti, ora è imposto di non provocare, di chiedere il permesso. Quello che riporta nel discorso del 30 maggio 1924 è una documentazione numerica della manipolazione dei voti alle ultime elezioni, da parte di forze fasciste. A una chiarezza di esposizione del suo pensiero, risponde una violenza sempre maggiore che lo silenzia davanti agli accusati. La voce che urla di più sovrasta e la sua onestà viene punita in questo modo, con il silenzio che segna anche il buio teatrale.

Le parole di GIACOMO nel presente

Di aver consegnato il suo corpo al sacrificio, Matteotti ne era già consapevole e questo lo rende un personaggio da ricordare, non per la sua morte, ma per la devozione con cui si è dedicato alla battaglia contro la censura del pensiero. La voce supera il corpo e per questo motivo, in GIACOMO, non c’è la ricerca di una riproposizione fedele dell’immagine dei suoi discorsi. Elena Cotugno consegna il suo corpo di attrice alle idee per farle esistere anche nel presente. L’interesse del teatro dei Borgia di fornire un ritratto storico, si traduce in un’esibizione precisa delle parole pronunciate. Quello che si vuole mostrare è un periodo della nostra storia in cui queste parole erano sepolte nei verbali che omettevano la verità per esigenza, per ordine di forze violente. Giacomo interpella il pubblico presente a un ascolto difficile, concentrato nel dover seguire la lingua lontana perché codificata, perché di quasi un secolo fa e distrugge questo stato di concentrazione con un canto improvviso, scomodo ma necessario. A partire dall’intermezzo di Giovinezza, la figura del personaggio viene fatta affievolire e solo da quel punto ci è chiaro perché siamo stati addentrati nella mente di Giacomo, oltre il limite di tolleranza di un tale discorso nello spazio della scena. Il testo di Povero Matteotti è ripreso dall’antologia I canti popolari italiani di Giuseppe Vettori, che scrive questo nell’introduzione all’edizione del maggio 95: “E qui, nel piccolo di questo libro, un giovane potrebbe avventurarsi a cercare. Non la soluzione dei problemi dell’oggi e del domani, si capisce. Ma una base per fermarsi a riflettere. Cercare le radici per capire, per cambiare.” Questa citazione potrebbe essere utilizzata per descrivere il risultato del lavoro di GIACOMO. Quello che lo spettacolo ottiene è l’attivazione delle menti del pubblico al riconoscimento dei processi che portano all’unificazione del pensiero, sotto l’opera della violenza e della paura. Per un teatro, quello dei Borgia, che spera nella partecipazione nella “cosa pubblica”, GIACOMO segna una nuova modalità di esplorazione di questa richiesta, più incentrata sull’ascolto come azione di costruzione del pensiero.

Il Respiro del Pubblico Festival 22

DI MALAVOGLIA

produzione Mowan Teatro
con il sostegno della Regione Toscana
di e con Michele Santeramo
in collaborazione con Alessandro Brucioni
Prima fiorentina
26 novembre 2022, Teatro di Cestello, Firenze

GIACOMO [Matteotti]

un intervento d’arte drammatica in ambito politico di Teatro dei Borgia
progetto e regia Gianpiero Alighiero Borgia, con Elena Cotugno
testi di Giacomo Matteotti con interruzioni d’Aula dai verbali delle assemblee parlamentari del 31 gennaio 1921 e del 30 maggio 1924
drammaturgia di Elena Cotugno e Gianpiero Borgia
con Elena Cotugno
costumi Giuseppe Avallone
artigiano dello spazio scenico Filippo Sarcinelli
ideazione, coaching, regia e luci Gianpiero Borgia
coproduzione TB e Artisti Associati Gorizia
con il sostegno della Presidenza del Consiglio dei ministri
con il patrocinio di Comune di Fratta Polesine, Fondazione Giacomo Matteotti, Fondazione di Studi Storici “Filippo Turati” e Fondazione Circolo Fratelli Rosselli
prima fiorentina nel centenario della Marcia su Roma
3 dicembre 2022, Sala Vanni, Firenze

Scuola di critica teatrale

L’articolo è stato realizzato nell’ambito del progetto Scuola di critica teatrale Ciuchi Mannari all’interno della seconda edizione de Il Respiro del Pubblico Festival 22 di Cantiere Obraz, con la direzione artistica di Alessandra Comanducci e Paolo Ciotti, realizzato grazie al contributo di Fondazione CR Firenze.

I partecipanti al Gruppo di visione Ciuchi Mannari sono stati (in ordine alfabetico): Ayaman Abouelkhir, Renato Bacci, Emma Bani, Gaetano Barni, Patricia Bettini, Viola Caliendo, Lorenzo Cervini, Yana Chimienti, Angel Grace Corales, Elena Faggioli, Medard Lekli, Alessandra Mancarella, Marika Sani, Livia Tacchi.

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