Roma è come la vena artistica di sua figlia Monica Vitti: una primavera nel cuore dell’inverno.
Davanti la Casa del Cinema poco dopo l’entrata di Villa Borghese c’è una silenziosa fila di persone che aspettano di accedere per vedere il documentario "Vitti d’arte, Vitti d’amore" di Fabrizio Corallo presentato all’ultima edizione della Festa del Cinema.
Siamo alla due giorni di proiezioni di “GRAZIE MONICA” svoltasi fra il 5 ed il 6 febbraio alla Casa del Cinema per omaggiare la grande Monica Vitti, scomparsa il 2/2/2022. Oltre al Documentario sono stati proposti anche "Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca)" di Ettore Scola, "La Tosca" di Luigi Magni e Deserto Rosso di Michelangelo Antonioni.
L'evento ci suggerisce un percorso nel ricordo delle diverse performance dell'attrice, che ha saputo affascinare e catturare non solo l'obiettivo del Cinema ma anche quello della gente con la sua comicità fondata sulle lacerazioni della vita.
Da Maria Luisa Ceciarelli a Monica Vitti
Monica Vitti sui documenti era Maria Luisa Ceciarelli. Un cognome che richiedeva di essere ripetuto, facile alle storpiature e che non si faceva ricordare. Maria Luisa a tavolino taglia il cognome della madre, Vittiglia e ne prende le prime cinque lettere: Vitti. Monica lo sceglie perché aveva da poco letto un romanzo la cui protagonista aveva questo nome. Così Maria Luisa assume un nome d’arte che la farà conoscere e amare dal grande pubblico per generazioni
Drammatica, comica: entrambe le cose. Ogni regista che l’ha avuta ha sgrezzato il diamante Monica Vitti e lei ha saputo splendere. Il suo stile ha vissuto una partenogesi artistica che dal malinconico si è traslato in una comicità esemplare, ancora ammirata, ancora studiata.
Ha saputo rappresentare la moderna nevrotica, incarnando i grandi cambiamenti della seconda metà del 900. Ma prima di diventare la regina indiscussa della commedia ha potuto dare sfoggio di una recitazione intimista e profonda.
Monica Vitti e l’incontro con Antonioni
Il cineasta ferrarese la nota e ne fa la sua musa. Vede in lei quell’alienazione necessaria atta a mettere in pellicola la sua famosa tretralogia dell’incomunicabilità. Monica Vitti sarà la tormentata Claudia in “L’avventura”, la misteriosa e incontentabile Vittoria in “L’Eclisse”, la seducente Valentina ne “La Notte” e la nevrotica in “Deserto Rosso”.
Questi personaggi antoniani le erano congeniali. Perché dentro, Vitti, aveva tormenti profondi di chi ha un animo fragile e sincero. Antonioni vive solo nelle difficoltà e l’attrice seppe incarnare questo lato così inquieto. Si affiderà a molti professionisti, registi che la aiuteranno a vibrare sul grande schermo, autori che sanno scrivere verità profonde dell’animo umano e direttori della fotografia in grado di valorizzarla.
Nel documentario in molti parleranno di lei, attori e attrici, scrittori e registi: Paola Cortellesi, Michele Placido, Enrico Vanzina, Citto Maselli, Barbara Alberti, Laura Delli Colli, Enrico Lucherini, Christian De Sica, Carlo Verdone, Pilar Fogliati, Sandro Veronesi, Giancarlo Giannini. Personaggi e personalità che l’hanno conosciuta, incontrata e amata. Parole intense, trasportate e sincere con le quali ridefiniscono il profilo della grande attrice.
Vitti e Sordi, il sodalizio più amato
Così il grande comico italiano ha riconosciuto nella collega una regina degna delle sue attenzioni. Divideranno i set su molti film: “Polvere di stelle”, “Io so che tu sai che io so e tanti altri”.
Il loro era un grande amore artistico. Di Monica dirà che “Aveva tempi recitativi che appartenevano alla realtà” sottolineando di fatto la naturalezza con cui Vitti interpretava le sue protagoniste. Non era una diva, era un’attrice che viveva dentro il mondo, che osservava ciò che la circondava e ne imparava le sfumature, le regressioni, gli avanzamenti. Affinava l’imitazione della vita vera per riportarla nella finzione della pellicola. “Il suo carattere incoercibile, la sua indomabilità, è presente in ogni suo film” così ne parla Sandro Veronesi, durante un suo intervento. Ha effettivamente permesso agli italiani di ridere delle proprie disgrazie, che era (e resta) un modo per raccontare l’Italia.
Monica Vitti: la comicità e le lacerazioni
E se i suoi colleghi fecero parlare i difetti, lei fece parlare le fragilità. La sua comicità si è fondata sulle lacerazioni della vita.
Così prismatica e così bella. Bella per davvero. La sua era un’immagine nata per essere catturata dall’obiettivo. Ci si dimenticava della sua bellezza soltanto perché la portava in scena come accessorio alla vibrante personalità. Era per prima cosa un’eccellente attrice. Solo in seconda battuta si notava l’avvenenza.
Quello per Monica Vitti è un lutto smorzato, anche se per questo non sentito.
Non ci è stato concesso di vederla invecchiare. Amorevolmente protetta dal marito Roberto, Monica si è ritirata dalle scene in concomitanza del ritiro da se stessa. La malattia misteriosa che cancella ogni ricordo si è impadronita di lei, l’attrice, privandola dello strumento professionale primario: la memoria.
Monica Vitti, il ricordo scivola via
E così, scivolando via ogni ricordo, Monica si è andata via via a perdere. Ha raggiunto i novant’anni mancando circa un ventennio dalla scena pubblica. E se in lei le memorie svanivano, in noi spettatori il ricordo è rimasto intatto.
Il pubblico in sala ha timidamente riso delle battute di Vitti che decorano lo splendido documentario di Corallo. E nella delicatezza di un finale leggero e amaro, sui titoli di coda, un placido e rispeso applauso ha chiuso questa esperienza cinematografica. In silenzio, a luci accese, abbiamo lasciato la sala, consapevoli della perdita, ma sollevati dall’immortalità delle pellicole, per ritrovare Monica Vitti e ridere con lei di noi stessi, di quanto sia beffardo il destino talvolta e di come questo Paese ha avuto una grande attrice che è, e sempre sarà, nostro orgoglio.