FILICUNTI @ Teatro Planet: vite cantate e raccontate nella stanza del telaio

"Ananche, la dea della necessita, regge il filo a cui l'universo è sospeso e il suo fuso, ruotando, indica il movimento del cosmo. […] Ananche regge il filo dell'esistenza e le Moire, le figlie, ne scandiscono i tempi. Ananche è una figura femminile"

Il passato dei popoli è fatto in gran parte di tradizioni orali che nacquero, in prima istanza, per accompagnare i momenti di socialità. In Italia come altrove, fino ad un paio di generazioni fa, tali momenti coincidevano con mansioni periodiche e inderogabili, come il lavaggio dei panni, la preparazione del pane o la tessitura. Facile, nelle tradizioni popolari, far coincidere quest'ultima con un elemento che ne diventa imprescindibile, la narrazione di storie.

E così, le tessitrici diventano divinità che in quei fili, assurti a immagine delle vite umane, tessono destini, passioni e, con un colpo di forbice, ne decretano la fine. Filicunti, titolo che unisce i fili ai racconti che ognuno di essi rappresenta, attinge ad una tradizione allo stesso tempo recente ed antica, meridionale e più precisamente calabrese.

I cigolii del telaio accompagnano dunque storie e filastrocche (alcune tratte di prima mano in famiglia dalla stessa Fausta Manno), sulle quali si avvicendavano nonne, zie, madri che sentiremo poi in registrazioni originali verso la fine dello spettacolo. Spettacolo che non è solo questo ma molto di più, grazie ad una formula eterogenea in cui quasi ogni forma di messa in scena è rappresentata, scandendo le differenze fra i racconti ma mantenendosi sostanzialmente organico.

È evidente come il duo Fausta Manno – Gianni Silano sia affiatato e complementare: la prima, di cui intuiamo lo stile attoriale rigoroso, si adatta tuttavia molto bene ad un testo a forte vocazione popolare; il secondo che rappresenta un bravissimo cantastorie vecchio stile (nel senso migliore), versatile e entusiasta, ma che da solo avrebbe forse difettato nel dare profondità ad alcuni dei momenti narrati.

Ed invece l’alchimia delle due esperienze sostiene egregiamente un testo potenzialmente molto complesso perché caratterizzato, come accennato in precedenza, da tipi diversi di narrazione: dal teatro delle ombre fino alle marionette, dal coinvolgimento del pubblico nel racconto al ricorso a filmati e registrazioni (non senza qualche perdonabile contrattempo) fino alla forma più rappresentata, la canzone.   

Si tratta principalmente di composizioni originali dello stesso Silano, che con destrezza si accompagna con la chitarra e l’armonica, ricorre alle percussioni, amministra basi registrate, cui ricorre talvolta per ricreare suggestioni durante la narrazione, con i suoni del paese, del mercato o del mare.

Forse proprio le canzoni di Silano sono l’elemento che definiremmo più debole dello spettacolo: ispirate alle storie raccontate e musicalmente poco originali, risultano poco incisive forse perché troppo didascaliche, soprattutto quando ribadiscono la storia appena narrata. Svolgono tuttavia la loro funzione nell’economia dello spettacolo perché in esso sono ben miscelate.

Entrambi gli attori in scena si alternano al canto e alla recitazione, scandendo, l’uno con la chitarra, l’altra con la creazione di una tela di fili (i canapi) stesi man mano sul palco a includere tutta la scenografia, e addirittura il pubblico della piccola sala del Planet, il susseguirsi di storie, filastrocche, di nascite, passioni e morte, così come doveva avvenire nella sala del telaio.

Filicunti è uno spettacolo ideato da Fausta Manno e Lydia Predominato, in scena fino al 4 Dicembre al Teatro Planet di Roma. In scena e alla regia, la stessa Manno e Gianni Silano, autore dei testi e delle canzoni originali. Ombre di Valentina Bazzucchi, luci di Jacopo Astengo.

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