ERRICHETTA FESTIVAL @ Teatro Italia: dalla Sardegna all'Iran, attorno al Mediterraneo

Abbiamo assistito alla seconda giornata dell’Errichetta Festival, appuntamento annuale dal programma sempre ricchissimo, che si è chiuso il 14 gennaio. Una rassegna che ogni anno celebra l’unione delle culture grazie al linguaggio comune della musica.

Sul palco si sono avvicendati artisti sardi, iraniani e bulgari, di grandissima importanza nelle rispettive tradizioni musicali e che rappresentavano solo una parte della grande eterogeneità artistica e culturale proposta da quest’edizione del festival.

Primo sul palco il maestro delle launeddas Luigi Lai. Tale strumento a fiato, antichissimo e invariato nella sua struttura probabilmente da millenni – esistono rappresentazioni di strumenti analoghi fin dalla preistoria – è uno dei capisaldi della tradizione musicale sarda. Formato da tre canne, ricorda nel suono e nella sua struttura le ciaramelle o cornamuse, con la differenza che nelle launeddas manca una sacca dell’aria, sostituita dal sapiente uso della respirazione circolare.

Questa tecnica non facile, ma che in alcune tradizioni popolari (come quella sarda) viene appresa fin dalla più tenera età, consiste nell’emettere aria dalla bocca mentre si inspira e consente al suonatore di eseguire melodie continue, con un accordo di pedale a sostenere la melodia principale, il tutto per mano – e fiato! – di un singolo musicista.

Il suono delle launeddas, aspro e delicato al contempo, evoca atmosfere antiche e un passato mai vissuto che ci accomuna nelle radici mediterranee. Luigi Lai, classe 1932, fra i più importanti rappresentanti e ambasciatore nel mondo di questa tradizione sarda, si rivolge al pubblico come farebbe un artigiano nel suo atelier degli strumenti, uno per ogni tonalità, racconta delle occasioni nelle quali erano suonati, esegue melodie non scritte, che conosce a memoria e che ancora oggi vengono suonate in occasione delle feste dei santi o nelle celebrazioni dei paesi sardi.

Riscuotendo gli applausi a scena aperta di un pubblico incantato, Lai si concede di sforare il tempo della sua esibizione, eseguendo lo struggente brano tradizionale no potho reposare e, riposte con cura le launeddas nella sua valigetta, lascia il palco con tranquillità, quasi senza far caso a un teatro che ‘viene giù’.

Dopo Luigi Lai facciamo un ideale salto nel Mazandaran, regione nel nord dell’Iran, da cui proviene una tradizione musicale molto influenzata da un paesaggio accidentato e da una storia antica di pastori e agricoltori.

Della formazione fanno parte due grandi maestri iraniani, Abolhassan Khoshroo, voce del repertorio tradizionale del Mazandaran e Siamak Jahangiry, anche lui originario della stessa regione, maestro del flauto nay e grande interprete del repertorio classico Radif, la musica colta tradizionale persiana. Con loro sul palco in una inedita ‘riunione di famiglia’ i tre nipoti di Abolhassan Khoshroo, Nima, Mani e Pouya Khoshravesh, rispettivamente allo strumento a pizzico setar, al flauto nay e allo strumento ad arco kamancheh, e Reza Samani, maestro delle percussioni persiane.

Le composizioni eseguite offrono un esempio della versatilità e capacità espressiva di strumenti dalle origini e tecnica antiche. Su lunghe composizioni si avvicendano dinamiche diverse e in costante evoluzione, cadenze e a solo danno di volta in volta modo ai diversi strumenti di spiccare all’interno dei brani, e fra essi la voce di Khoshrooh evidenzia quanto anche le corde vocali umane siano da considerare un vero e proprio strumento all’interno di certe tradizioni musicali: uno strumento il cui utilizzo nelle composizioni richiama quello, analogo, del nay, in un rimando culturale e sonoro che spinge la suggestione fino al suono del vento fra le montagne.

Altro elemento da sottolineare è la tecnica dei musicisti, virtuosi nel senso più classico del termine, ma anche molto capaci nello sfruttare tutte le potenzialità del loro strumento, che sia l’ampia estensione dei nay, la forte componente ritmica di uno strumento a corde come il setar o la versatilità timbrica delle percussioni.

Chiude il concerto il suono potente della zurna del trio di Samir Kurtov, dalla Bulgaria. La vocazione molto popolare di questo strumento è evidente già dalla sua timbrica: strumento a fiato a doppia ancia – è considerato l’antenato dell’oboe – dà l’impressione di essere stato creato per celebrazioni nelle quali dovesse, da solo, bastare a una piazza, se non a un paese intero in festa. E così il pubblico trasale alla potenza del suono che esce dalla zurna di Samir Kurtov, accompagnata da un’altra zurna a fare una nota di pedale (anch’essa eseguita dal giovane musicista mediante respirazione circolare) e da una grancassa.

Dopo l’iniziale sgomento per un suono tanto forte – gli addetti del festival, già preparati, hanno iniziato a distribuire tappi di ovatta al pubblico – si è rivelata in tutta la sua forza la vera natura di un tale, prorompente strumento: trascorsi pochi minuti, la stragrande maggioranza del pubblico si è radunata sotto al palco per ballare sulle note delle danze tradizionali eseguite dal trio, in un crescendo trascinante.

Fra le particolarità di Samir Kurtov non c’è solo la potenza, veramente incredibile, del suo suono, ma anche un virtuosismo tecnico fatto di velocità, gestione del fiato e capacità improvvisative. Ma soprattutto il carisma di chi è abituato a gestire e trascinare un pubblico in occasioni di festa.

Perché probabilmente l’Errichetta Festival rappresenta proprio questo: una festa in una piazza ideale dove somiglianze e differenze si mescolano per celebrare la bellezza della vita. Ed il risultato è ben riassunto nelle parole di Fausto Sierakowski, fra i musicisti organizzatori del Festival:

“… la gioia, calma o pazza che sia, di aver creato uno spazio e un tempo in cui incontrare musicisti, linguaggi e culture, vicine o lontane, motivati da curiosità, da cura o semplicemente dalla gentilezza dell’altro”.

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