EQUOREACTION by VERTICAL: Disciplinata follia

Equoreaction dei Vertical è un piccolo grande prodotto discografico, indipendente e dalle disparate suggestioni.

In un paese nel quale si discute continuamente di merito come valore assoluto e caratterizzante, il campo musicale costituisce un universo di contraddizioni. Veri talenti bruciati sull’altare delle vendite o, peggio ancora – come avviene nei talent da qualche anno – dell’auditel. O, al contrario, artisti tecnicamente opinabili che imbroccano la chiave giusta e diventano improvvisamente indispensabili a pubblico e addetti ai lavori.

L’emersione dell’underground, grazie ai mille canali aperti dall’avvento del web, ha fornito nuovi punti di riferimento per chi vuole produrre, proporsi o semplicemente ascoltare, senza i vecchi condizionamenti.

Si accennava al merito e in un campo come l’underground dove vige una Darwiniana selezione naturale, spesso il più adatto ad emergere è semplicemente il più bravo a fare ciò che fa. I Vertical hanno collezionato una serie di riconoscimenti – si perdoni la terribile e abusata espressione – sul campo. Di quelli che talvolta regala la famosa gavetta: dopo tanto live nei migliori club di live-music del nordest, finiscono meritatamente ad aprire i concerti a mostri sacri del funk come il James Taylor Quartet o artisti del calibro di James Brown, nel suo ultimo tour italiano. Il tutto, senza una grossa etichetta a produrli.

Questo loro ultimo Equoreaction, nei suoi quattro brani, è un piccolo manuale di produzione discografica, un bignami – quei compendi che fino agli anni ’90 si usavano per prepararsi ai compiti in classe o, nascosti sotto il banco, per sfangarli all’ultimo secondo – di pop degli ultimi 50 anni.

Ci si sente di tutto, il rock e funk degli anni ’60 e ’70 e qualcosa delle loro riletture ‘90sJamiroquai, Beck su tutti – un po’ di AIR, di Moroder, di Beatles – e dunque i Chemical Brothers di Let Forever Be – e del verso stoner fatto ai Led Zeppelin dai Queens of the Stone Age. Tutto questo e molte altre suggestioni in soli 4 brani, niente male decisamente!

Non sembri però che parliamo di una scopiazzatura o di sterile citazionismo: il prodotto è tecnicamente ineccepibile, la qualità della produzione alta e i brani funzionano a sé, senza che le ispirazioni prendano il sopravvento, come al contrario succede talvolta in prodotti molto celebrati. Potremmo ricondurre questo effetto ad una leggerezza che sembra accompagnare la composizione. I Vertical sembrano divertirsi con i tasselli del mosaico, senza sentire l’obbligo di omaggiare esplicitamente alcuno, oltre a non lasciare trasparire pressioni discografiche: come tanti artisti underground, sembrano fare ciò che fanno semplicemente perché gli piace.

In definitiva un prodotto piccolo e divertente, da mettere decisamente in playlist, magari accanto agli altri due EP – uno già edito, un altro in arrivo – del trittico di cui Equoreaction fa parte. Con un unico dubbio: sotto quale genere metterli. Buttiamo là una proposta: spaghetti-funk?

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