ELLE (uscito per Lucky Red) è il ritorno al cinema di Paul Verhoeven con protagonista l'attrice francese Isabelle Huppert che per questo film è stata candida all'Oscar (miglior Attrice Protagonista) e ha vinto due Golden Globe (Miglior Film Straniero e Miglior Attrice). Il film è stato presentato fuori concorso al Festival di Cannes 2016.
Michele è una donna pragmatica e decisa, a capo di una compagnia di videogiochi. Un giorno un misterioso sconosciuto con un passamontagna si introduce in casa sua e la violenta. Michele reagisce all'aggressione in maniera inusuale: decide di non denunciare l'accaduto alla polizia e di scoprire da sola l'identità del suo stupratore. Nel frattempo dovrà vedersela anche con il figlio imbranato, l'ex marito, l'amante, il fascinoso vicino di casa, la madre sopra le righe e un padre che nasconde un passato oscuro.
Prima di addentrarci nell'analisi del film è doveroso fare un preambolo: Paul Verhoeven è notoriamente considerato un autore sensazionalista e ogniqualvolta che un suo nuovo film vede la luce è puntualmente accompagnato da una miriade di polemiche, fra chi grida alla scandalo o chi semplicemente storce il naso. Parliamo di un regista che non è mai stato indulgente con il pubblico, capace di spiazzare anche i suoi più fedeli adulatori, imbarcandosi in progetti diversissimi fra loro. Ma sia che si tratti di raffinati film europei o di blockbuster fracassoni tutto il suo cinema si basa su due elementi fra loro speculari: la violenza e il sesso. Attraverso le sue opere Verhoeven sottolinea insistentemente che non solo la società, ma l'essere umano stesso, agisce spinto unicamente da questi fattori. "Fiori di carni" e "Basic Instint" (istinti primari): due titoli attraverso i quali possiamo sintetizzare gli stilemi della poetica del regista olandese. Verhoeven descrive l'essere umano senza filtri o abbellimenti, rifiutando una visione manichea del mondo. I protagonisti delle sue opere possono essere cinici, arrivisti, folli, addirittura assassini, eppure non sono mai semplicemente "buoni" o "cattivi"; l'umanità raccontata da Verhoeven, questi fiori di carne, è alla continua ricerca di se stessa, non si pone limiti e non ha paura di esplorare la sua parte più oscura.
Con Elle Verhoeven realizza non solo il suo film più bello dopo più di un ventennio, ma anche una delle opere più incisive dell'ultima decade. Il regista attraverso un fatto privato descrive la società odierna con lucida precisione, quasi in maniera pedagogica; il suo sguardo non è mai compiaciuto o voyeuristico, ma analitico e soprattutto imparziale. Verhoeven non condanna o giudica, ma si limita ad esporre, evitando qualsiasi moralismo bacchettone. Elle racconta di una società ipersessualizzata e assuefatta alla violenza; una violenza interiorizzata e psicologica, prima ancora che fisica, declinata poi nella vita quotidiana in forme diverse: attraverso la sopraffazione, il cinismo e l'ipocrisia. La stessa Michele, la nostra protagonista, è spesso meschina e calcolatrice con le persone a lei più care e non si pone alcuno scrupolo nell'andare a letto con il marito della sua migliore amica. Eppure lo spettatore non può che patteggiare per lei ed è questa la carte vincente del film. Verhoeven avvicina il pubblico alla protagonista per invitarlo a riflettere sui meccanismi sociali che, cosciamente o incosciamente, siamo costretti a perpetrare giorno dopo giorno.
Anche i valori morali e religiosi non hanno più alcun significato e spesso diventano uno scudo dietro al quale nascondiamo la nostra ipocrisia. In un mondo così disumanizzato la violenza diventa il mezzo ultimo (ed estremo) per provare emozioni reali. Per questo motivo Michele, una volta scoperta l'identità del suo aggressore, istaurerà con lui un rapporto malato e sadomasochistico, forse anche per capire le azioni che spinsero suo padre, un uomo mite e religioso, a commettere una strage anni prima. Il suo è un percorso conoscitivo dove non c'è catarsi, ma solo una presa di coscienza che gli permetterà di capire appieno il mondo che la circonda.
La riuscita di questo film così complesso e ambizioso è da attribuire a pari merito al regista e alla sua monumentale e camaleontica interprete, Isabelle Huppert (giustamente premiata ai Golden Globe) in un ruolo che sembra scritto appositamente per lei. Elle si chiude su un'inquadratura particolarmente evocativa: vediamo in campo lungo due personaggi ridere e scherzare mentre passeggiano lungo un viale circondato da lapidi. Verhoeven, attraverso queste lapidi, sembra sancire, con tono cinico e beffardo, la morte di tutti i valori della cultura occidentale.