Venerdì 1° aprile siamo andati a vedere presso la Casa del Cinema di Roma, in una sala gremita e connessa emotivamente con l’evento, la prima assoluta del mediometraggio PERCEPIRE L’INVISIBILE, prodotto e diretto da Tino Franco, e scritto, sotto la supervisione di Matteo Martone, dagli utenti del Dipartimento Salute Mentale del centro diurno di via Di Giorgio di pertinenza della ASL Roma 1.
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PERCEPIRE L’INVISIBILE: la nascita di un progetto terapeutico

Nel centro diurno di Via Di Giorgio l’idea di utilizzare il cinema a fini terapeutici attraverso un laboratorio di Cineforum è di vecchia data, ed è frutto della collaborazione tra il Dipartimento Salute Mentale della ASL Roma1 e l’Associazione Culturale Nel Blu Studios, con il successivo intervento della casa di produzione Space Off. L’attività prevedeva, in origine, delle uscite finalizzate alla visione di film alle quali seguivano dibattiti di approfondimento e la conseguente redazione di impressioni, idee, suggestioni, sul blog della struttura sanitaria.
L’esperienza del Cineforum durante il 2019 verrà superata da parte degli utenti del centro, dall’idea di cimentarsi a scrivere una sceneggiatura; il proposito diventerà realtà grazie all’istituzione del corso di sceneggiatura tenuto da Tino Franco e Matteo Martone. L’obiettivo centrale del corso viene esposto dallo stesso Franco quando sostiene che questo diviene «l’occasione per mostrare la vita e la creatività delle persone che normalmente non vediamo o, peggio, non vogliamo vedere perché le consideriamo una minaccia per la comunità».
Nell’anno successivo, questa attività si scontrerà con il dramma della pandemia e con la conseguente sospensione di tutti i progetti; l’invisibilità non riguarderà più solo alcune categorie, ma l’umanità nella sua interezza, in una dimensione senza tempo, dove il dato della non presenza sarà un fatto tangibile riscontrabile nelle immagini delle città svuotate di umanità.
PERCEPIRE L’INVISIBILE Dalla sceneggiatura degli utenti del Centro diurno di via di Giorgio al cortometraggio
Proprio durante il periodo del lockdown viene elaborata l’idea della realizzazione di un cortometraggio che prende spunto dal lavoro svolto nel laboratorio di sceneggiatura, luogo nel quale, lungi dal seguire uno schema tipico di lezioni frontali, si realizza un rapporto creativo tra pari capace di generare riflessioni sugli individui e sul loro rapporto con la società. Emerge quindi nelle intenzioni degli sceneggiatori l’urgenza di rappresentare l’esperienza degli invisibili, ossia coloro che per vari motivi (salute, disoccupazione, precarietà lavorativa, età, originalità) sono gli esclusi dal contesto sociale.
Il lavoro basato sull’ascolto della sensibilità altrui prenderà la forma di un cortometraggio di otto minuti dal titolo significativo di Amore & lavoro, che racconterà la storia, in una dimensione per lo più fiabesca, di un ragazzo e una ragazza, dove lui è il lato debole della coppia, caratterizzato da una personalità minata dalle incertezze lavorative che lo renderanno appunto invisibile, o meglio, un corpo senza volto, rendendolo quindi irriconoscibile a se stesso e agli altri. Il dono della visibilità, e quindi del riconoscimento, avverrà tramite l’amore di Silvia, la sua bella fidanzata, che con un bacio, secondo tradizione, lo riporterà alla vita sociale.
PERCEPIRE L’INVISIBILE: il docufilm di Tino Franco
Nei suoi 45 minuti di proiezione, Percepire l’invisibile racconta quindi la storia della realizzazione del cortometraggio Amore & lavoro, partendo da un efficace parallelismo iniziale tra l’invisibilità sociale e il silenzio del centro diurno, come di Roma stessa, svuotati a causa della pandemia. La dimensione narrativa metacinematografica del film si articola secondo un montaggio che mostra l’alternanza dell’esplicitazione di pensieri, intenti e speranze degli utenti-sceneggiatori e degli operatori del centro diurno, e sequenze che mostrano, in stile documentaristico, il dietro le quinte delle riprese, i trucchi scenici adottati, le riunioni di produzione, in un flusso di immagini ben organizzate dove ciò che più si percepisce, oltre al senso di invisibilità sociale che si vuole rappresentare e sconfiggere, è il senso di collaborazione e di profonda umanità instaurata sul set, che ha di fatto annullato, in chiave inclusiva, le condizioni iniziali dei partecipanti al progetto.
PERCEPIRE L’INVISIBILE e l’altro da sé
Il film mette in evidenza come attraverso il lavoro collettivo è possibile ottenere un riconoscimento sociale, uscire dall’isolamento utilizzando anche quel materiale umano che spesso viene occultato come il dolore, il senso di esclusione e le ferite che l’esistenza ha inferto. L’alta dimensione etica del film, sovrapponibile alla visione del filosofo francese Emmanuel Lévinas, pone la questione fondamentale dell’importanza del dialogo e della capacità di ascolto, dello sviluppo dell’attitudine di percepire il prossimo in profondità, come qualcosa di altro da sé, ma tuttavia determinante per il processo di arricchimento interiore che ogni individuo dovrebbe perseguire. Il film ci comunica in maniera esplicita quanto sia necessario, in ogni incontro, attraverso la pratica del confronto, mettersi in ascolto dell’altro per comprendere e accogliere il suo mondo attuando di fatto una piena condivisione.
Il significativo lavoro degli utenti del centro diurno di Via Di Giorgio sembra andare anche oltre gli intenti iniziali, divenendo al contempo un ammonimento e una proposta attuativa che chiama in causa un aspetto etico universale che vale sempre la pena di ricordare: l’essere umano sconfigge il suo isolamento egoico o indotto quando si apre verso l’altro e cerca di comprenderlo, rinunciando una volta per tutte a soggiacere alla nefasta legge dell’assolutezza dell’Io.