A soli due anni da TABU, la mostra-rivelazione di Cecilia Cosci, con il suo ingresso scompigliante nell’arte visuale, nasce SOGNI, la nuova personale di collage e pittura, ospitata nel prezioso spazio di Crumb Gallery. Sogni ficcati in un lungo sempre/mai, che immergono lo spettatore in un’atmosfera accesa di risvegli scomodi, dove niente si avvera se non il ripetersi del nervo scoperto del desiderio, sottratto a ogni consolazione. Domani 8 luglio per chi ancora non l’avesse vista è l’ultimo giorno di visite. Potrete trovare anche in seguito il catalogo, curato come sempre dalla galleria stessa, con l’intensa introduzione di Rory Cappelli.

L’impatto esplosivo dell’esordio, che spingeva in vertigine di equilibrismi e restando sul limite estremo si giocava tutte le precarietà umane, l’incombenza di qualcosa di ignoto e un dibattito impossibile (invocato, deriso) con Dio, matura e decanta in queste nuove opere, che espongono la punta dell’essenza, attraverso raffinate geometrie e soggetti prevalentemente immersi dentro il colore nero, tra l’emersione dell’immagine e il suo inghiottimento. Altra novità di SOGNI, che testimonia l’azzardo di Cosci, connaturato e mai goloso di sensazionalismo, è la minore riconoscibilità dei molti dipinti da cui estrae dettagli, continuando a stravolgerli e a ricombinarli in composizioni inaspettate e conturbanti. Il filo teso della sua visione è la tensione stessa, il bilico tra una dimensione e l’altra, l’attimo prima catturato in eterno. Questi sogni sussurrano la perfezione della mancanza, frugata negli opposti delle sue spinte, intrisa di eros e malinconia.
Contenuti
CECILIA COSCI E IL SIPARIO DEI SOGNI

Ci addentriamo nelle opere insieme all’artista.
“Sipario apre la fila, è la mano che tira il lembo di un velo, svela ciò che sta dietro, in una tensione che accomuna un po’ tutte le figure in mostra”. Segue una donna ‘ostetrica’ della pupilla, che tiene aperto con le mani un grande occhio triste (“Ginevra de Benci di Leonardo si sposò con un uomo che non amava”). Guardare è l’atto incessante di questo viaggio nell’incompiuto, e più che una presa di coscienza sembra farsi perversione senz’esito. Come il profilo di due volti maschili, gli occhi terrosi consumati dalla lontananza, che tentano di vedere almeno la polvere di “qualcuno che se n’è andato.” Ci imbattiamo poi nell’irriverenza divertita di un fanciullo appeso a un muro, di cui non sente né costrizione né pericolo. “In Sospensione, Ganimede resiste prima di cadere nel vuoto o di spiccare un salto per mettersi in salvo. In Salvataggio l’uomo blocca la donna che vuole fuggire portandola in salvo(?), trattenendola in uno spazio nero, però, mentre lei vorrebbe la luce.”

Il muro è ricorrente e polisemico, la salvezza estremamente ambigua e ogni opera resta sul punto di, fissata nel mentre di un passaggio, quindi all’apice. In Cenerentola il piano divisorio è verticale e i colori tenui, la donna sta sbucando a vita nuova ma una sua scarpa (quale?) resta nel passato: “quando si pensa di aver superato qualcosa si lascia in un’altra dimensione sempre una traccia”. I collage di Cosci non hanno mai presentato stridori d’accostamento, la sua arte, anche quando incastra sproporzioni, offre un’armonia sconvolgente del montaggio, dove si annida tutta l’inquietudine. Soprattutto in questa rassegna il tenere insieme- che è la base del collage- è la mostruosità, il carico terribile che ci affaccia su un risucchio di frana.
CECILIA COSCI E L’ENIGMA DEI SOGNI
La sensibilità di Cosci batte sull’enigma del desiderio femminile, la non collocabilità dei suoi personaggi terribilmente avvinti tra loro gira vorticosamente sulla frattura tra appartenenza e pulsione. Il punto di incontro è quasi sempre un orlo insostenibile, talmente insistito da far scomparire un oltre. Ne Il mistero le figure attorniano uno spazio vuoto, un buco originario. Una sopra l’altra due opere in relazione rovesciata. Lo stesso muro nero, un uomo da una parte e una donna dall’altra.

Se in Orizzonti “c’è distanza e incomunicabilità” la seconda vibra calamitante l’effusione di un cercarsi “mi ricorda un frame mancante di Vertigo di Hitchcock, quello in cui avremmo potuto assistere al primo sguardo fra Kim Novak e James Stuart nel locale (dove lei sa che lui la sta guardando ma lui no)”. Sisifo sopporta il peso del nero, ma sembra anche nella strettoia di una nascita. Di grande forza estetica e simbolica, quasi una promessa di futuro, un’elegante donna incinta, che protegge il ventre, con alle spalle un muro rosso e dietro quella distesa di colore si ergono storte lance appuntite. Il cardellino su una punta richiama l’ostinazione della fioritura (L’attesa).
CECILIA COSCI E I SOGNI DI RESISTENZA

“Guardandole continuamente, tutte in fila così raccolte, capisco che parlano soprattutto di resistenza”. Nell’opera omonima “la donna ci guarda con la testa piegata sotto il peso di un uomo maldestro e noncurante che ha bisogno di lei per salire. Ma in questo percorso c’è anche il desiderio di abbandonarsi (Abbandonarsi) e addirittura penetrarsi (l’Abbraccio).” Ironico e provocatorio il pranzo è servito, dove “una donna ha in mano un vassoio di uomini, tanto bella lei quanto mostruosi loro, che iniziano come a scivolare”, e può rovesciare il vassoio da un momento all’ altro. Romeo e Giulietta sono due mani che “cercano un varco per potersi toccare.” A chiudere la sequenza un angelo goffo come un albatros che sta abbandonando una terra che non gli appartiene. “Mi ricorda il protagonista di Truman show che scappa dal teatrino della vita”.
BIOGRAFIA
Cecilia Cosci è nata a Firenze, dove insegna storia dell’arte al liceo artistico. È stata redattrice per il canale televisivo TMC2 e per la rivista Art e Dossier della casa editrice Giunti. Alla sua passione per l’arte figurativa, per il cinema e la musica, unisce l’amore per le fiabe, che ha messo in scena in spettacoli per bambini con la compagnia teatrale Gli Asini di Mercadante. Ha esordito nel 2021 con una personale alla Tobian Art Gallery di Firenze. Nel 2022 ha partecipato alla XI edizione di ITSLIQUID International Art Fair di Venezia e a una mostra presso la Agora Gallery di New York. “Quando lavoro sono sola”, racconta. “Spesso metto musica. I primi montaggi (novembre 2018) sono nati di notte, nel silenzio e in solitudine, per un’urgenza creativa che non sapevo di avere. Sentivo che una parte di me stava spingendo per uscire fuori, ma non sapevo in che modo. Il primo è nato in un’ora, ho provato una gioia impossibile da descrivere, ridevo, ero felice”.