A Palazzo Strozzi a Firenze prosegue fino al prossimo 18 giugno la mostra di arte contemporanea Reaching for the Stars. Da Maurizio Cattelan a Lynette Yiadom-Boakye. Eminenze artistiche diversissime tra loro ma profondamente collegate dall’impatto eversivo: quella smagliatura fuori tessuto che interrogandoci accende il visitatore. La mostra, curata da Arturo Galansino, Direttore della Fondazione Palazzo Strozzi, espone una vasta selezione della Collezione Sandretto Re Rebaudengo di Torino sculture, dipinti, installazioni, fotografie, video: una mappatura globale di linguaggi e stili. 50 artisti contemporanei, oltre 70 lavori, 9 sale.
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La mission di Reaching for the Stars: avvicinare il pubblico

La straordinarietà di questa mostra che ci accompagna nel pluralismo dell’arte contemporanea, addensata intorno ai suoi innovatori, alle stelle appunto, è testimoniata anche dal consistente e accurato catalogo, che mette in chiaro la forza della mission: rendere le opere accessibili a tutti, farne oggetto di studio e riflessione, riportando al centro la loro funzione socio-culturale. Un progetto che apre una pratica di sguardo e partecipazione, superando quello stacco abissale, presente in una scena esilarante del film Dove vai in vacanza? (1978), in cui l’arte concettuale e bislacca viene derisa da Alberto Sordi, alla sua seconda regia, quando la moglie mettendosi su una sedia d’autore a mangiare un panino, diventa automaticamente l’installazione più eccentrica, subito accerchiata dagli spettatori. Profezia di performance future e della diffidenza di un pubblico che si sentirà escluso e raggirato dalle ‘trovate’ degli artisti più provocatori. Fortunatamente i tempi cambiano e l’afflusso alle esposizioni d’arte contemporanea cresce sempre più. E in questa rassegna c’è da immergersi, non da smarrirsi. L’esegesi di ogni targhetta magari a volte può forzare sulla significazione e sul messaggio, ammansendo inevitabilmente lo smarrimento, l’ambiguità dell’opera, il cui midollo è domanda e polisemia, ma rientra in una critica motivata a una più salda e fertile interazione con i visitatori: operazione preziosa, senza la quale non ci sarebbe base e dialettica alcuna.
Reaching for the Stars: siamo stelle tra le stelle

Obiettivo pienamente riuscito. Siamo stelle tra le stelle, finalmente vicine, ne facciamo parte. Molti di questi artisti inoltre sanno quel che fanno e hanno affrontato più esplicitamente l’attualità, mettendo la loro ricerca al servizio di una battaglia contro i soprusi terrificanti in notevole rialzo, facendosi così stelle comete, punteggiature luminescenti tra apocalisse e resurrezione. Non è un caso che l’allestimento inizi, nel cortile di Palazzo Strozzi, con un razzo puntato verso il cielo (Gonogo di Goshka Macuga), e l’immaginario oscilla, tra il desiderio di un mondo altro, la necessità di fuggire dal nostro pianeta in fase di collasso e il boato di ben altri missili. L’emergenza della relazione minata tra gli uomini e tra umanità e natura è il filo conduttore di questo lungo viaggio strutturato per tematiche nelle nove sale del Piano Nobile di Palazzo Strozzi e nello spazio della Strozzina.
Reaching for the Stars: il noir di Cattelan

Le opere vanno soprattutto dagli anni Novanta al Duemila: passiamo dal volo schiacciato delle farfalle morte variopinte su cielo di carta del londinese Damien Hirst (Love is Great, 1994) al famigerato scoiattolino suicida in solitudine di cucina di Maurizio Cattelan (Bidibodiboo, 1996). Una miniatura da fiaba noir: la testa dello scoiattolo tassidermizzato è riversa sul tavolo in formica, la pistola – ulteriore tocco surreale – sul pavimento. Delle 5 installazioni di Cattelan nella sala “Made in Italy” spicca il suo fantoccio impiccato alla noia livida di un appendino, come un panno usurato da una quotidianità frustrata e spenta (La rivoluzione siamo noi, 2000). Senza umorismo invece il nero denso e fantasmatico da cui si stacca appena il volto di un incubo. Si tratta del dark allucinato di Roberto Cuoghi in P(XIIIVt)mm/ac/v (2004).
(S)oggetti di Reaching for the Stars

Cindy Sherman nelle sue foto-fotogrammi di un film mai esistito ai bordi anonimi della periferia (Untitled Film Still #24,1978) rivoluziona la pratica del self-portrait come interiorità, e sembra svelare che l’identità è pura finzione, luogo ossessivo estraniante, abitabile solo attraverso un proliferare di maschere, facendoci assistere alla scomparsa del soggetto nel fantasma dell’immagine. Nella medesima sala “Identities” ci imbattiamo in due installazioni urtanti dell’americano Josh Kline: un uomo e una donna in divisa da lavoro, ognuno stretto in posizione fetale e avvolto dal cellophane trasparente, i titoli come epitaffi, Thank you for your years of services (Joann, Lawyer), 2016; Wrapping Things Up (Tom, Administrator), 2016. I corpi realizzati a grandezza naturale in Stampa 3D, come scarti dell’indifferente macchina del sistema.
Reaching for the Stars: riflessione sul femminile

Scollegata dal regime d’oppressione e quindi dalla comunità, una donna senza velo vaga tra le mura di una città labirintica, in un angoscioso crescendo da tragedia greca: è il video in B/N Possessed (1997) della talentuosa artista iraniana Shirin Neshat. L’opera stringe sul tremante confine tra follia e libertà: folle di libertà la donna che tenta di riappropriarsi dei propri diritti. Della sezione “Bodies” sono indimenticabili le opere della londinese Sarah Lucas, che con tecniche e materiali diversi, esprime un femminile mostruoso, tra gambe-polipi e moltiplicate escrescenze. In Love me (1998), la parte inferiore di un corpo fuoriesce mollemente dallo schienale di una sedia, in cartapesta tempestata da foto di bocche, mentre in Nice tits (2011) un grumo ributtante di protuberanze mammellari invade il nostro sguardo. Giocando sulla sineddoche, l’artista suscita un corto circuito tra l’esasperante sessualizzazione che deprezza la donna e qualcosa del femminile arcaico al limite tra il sopraffatto e il persecutorio. Muovendoci ci imbattiamo in una scultura collocata in una teca di vetro, come fosse un pezzo d’antichità museale, un reperto archeologico. L’artista è Berlinde De Bruyckere, il materiale del corpo quasi filiforme: questa femme sens tete (2004), ma anche senza braccia e senza piedi, ha una potenza che va ben oltre la questione del genere e tira dentro la sua natura fragile e amputata l’intera umanità. Un corpo slabbrato da orifizi, non eroso o masticato, ma nato così, attorno alle pieghe e alle fessure.
I neri di Lynette Yiadom-Boakye, Reaching for the Stars

Il rosso intriso, capillare, dell’opera di Wolfang Tillmans attira inesorabilmente nel suo misto di evanescenza e addensamenti ematici. La fotografia si è formata indistinta in camera oscura, l’artista ha lasciato imprimere la pellicola direttamente dalla luce e dalle sostanze chimiche (Greifbar 48, 2017). Da Tillmans, inserito nella sala “Abtracts”, andiamo a Andreas Gursky, un altro fotografo legato alle enormi stampe. In Arena III (2003) lo stadio inquadrato dall’alto mentre è in corso l’applicazione delle strisce di prato offre una geometria perfetta ed ambigua, che sfugge a un’unità di piano. I dettagli uomini/strumenti di lavoro minuscoli resti sulla vastità del campo incompiuto, sembrano fuoriuscire, come un effetto ottico, che disturbando rende ancora più interessante la composizione. Concludiamo con Lynette Yiadom-Boakye, il secondo nome presente nel titolo della mostra Reaching for the Stars, pittrice londinese classe 1977 che si dedica esclusivamente a ritrarre uomini e donne neri della sua immaginazione. A parte l’eversiva peculiarità di un soggetto alquanto raro nella raffigurazione artistica occidentale, la forza di queste opere sta nell’assenza di tempo e ambiente, spoliazione che rende di una pregnanza assoluta l’intimità enigmatica di questi corpi e volti.
Info: Reaching for the Stars Da Maurizio Cattelan a Lynette Yiadom-Boakye
Palazzo Strozzi, Piazza Strozzi Firenze
dal 04 marzo 2023 al 18 giugno 2023
orari: tutti i giorni 10.00-20.00, giovedì fino alle 23.00
Info e prenotazioni: tel. +390552645155 mail: prenotazioni@palazzostrozzi.org