Alla Galleria Cartavetra di Firenze riprende la mostra personale di Carlo Fei, dall’affascinante titolo “NÉ PIÙ NÉ MENO (non ci è dato sapere niente)“, che resterà aperta al pubblico fino al 15 settembre. Il giorno precedente al finissage, giovedì 14 settembre, verrà presentato il prezioso catalogo, che inaugura la collana “libri ad arte” curata da Brunella Baldi, edizioni Cartavetra. Nel catalogo troviamo importanti interventi critici e anche i numerosi inediti del fotografo, più precisamente 80 polaroid a colori, che sono solo un frammento di una serie di ritmature sull’orizzonte mare. Un identico mai identico per varianti di luci e onde che batte senza continuità l’infinibile. Le altre opere della mostra, tratte da un lavoro iniziato negli anni Novanta, sono come l’estrema prossimità alla sparizione. Visioni da dentro il nero, nella materia del fantasma, grumi senza un oltre, lasciti d’enigma.

Contenuti
NÉ PIÙ NÉ MENO e l’insondabile

In “NÉ PIÙ NÉ MENO (non ci è dato sapere niente)” Fei rigetta nel nero ciò che il linguaggio ha fatto uscire, lambendo avidamente contorni e collocazioni spazio-temporali, utili alla finzione di una sequenza narrativa. All’artista sembra interessare la frattura del tessuto, lasciando aperto l’occhio nell’insondabile, senza alcuna pretesa di significazione. Le sue opere fotografiche sprigionano forti sensazioni proprio sottraendosi al contesto e ancor più al messaggio, che, di qualsiasi segno sia, appartiene sempre a una missione redentiva. La ricerca di Fei, distaccandosi da ogni sovranità rappresentativa, abbatte il discorso e ci costringe a vibrare la non relazione (e quindi la più profonda) con oggetti indecifrati.
NÉ PIÙ NÉ MENO e gli oggetti assoluti

Gli oggetti esuberano di un’evidenza inscalfibile, ci attirano tenendoci fuori. E più li guardiamo più ci derealizzano. Distanti e uguali: il blocco arancione di una batteria e la maschera di una divinità egiziana. Tracce, perturbanti resti di nulla e non indizi di un qualche ipotetico rizoma. L’oggetto non sta per qualcos’altro. La quota d’assoluto vira verso l’estrazione dei simboli dalla loro radice, nel senso che queste fotografie piuttosto che evocare (invocare) identità apotropaiche, contemporanee e arcaiche, fanno scomparire il tempo (il senso) nell’immanenza dell’immagine. Un qui che non si lascia abitare e che non riusciamo ad eludere. Non basta riconoscere il tipico amuleto napoletano o un vaso canopio egizio per disinnescare quel sempre e quel mai di cui sono concrezioni inconsumabili. C’è qualcosa che si ripete, qualcosa di incessante, così come nella serie delle polaroid. Scatti sullo stesso frammento di linea (orizzonte)- stessa spiaggia stesso mare- un rito di 10 anni che asciugandosi in battiti d’occhio, in colpi d’istante, si espone all’insensatezza. La stessa del vino e del pane che ritroviamo davanti a due opere, nella posizione inerte in cui il rito (e la sua catarsi) non può compiersi. Questo forse è l’accadere, essere toccati dall’enigma e restare immersi nel silenzio di quelle frequenze inabissate.
Biografia
Carlo Fei è nato nel 1955 a Firenze, dove vive e lavora. Laureato in pedagogia con una tesi sperimentale sull’utilizzo della fotografia di ritratto in casi di psicodiagnostica, ha compiuto anche studi musicali e fatto esperienza tecnica di laboratorio in chimica e fisica. Dalla fine degli anni Settanta ha lavorato come fotografo professionista nel mondo dell’arte, collaborando con gallerie, riviste, musei, istituzioni pubbliche e private fra cui il Centro Pecci di Prato, la Fondazione Pitti Discovery di Firenze, il Palazzo delle Papesse di Siena, il Museo Marino Marini di Firenze, la Collezione Gori di Santomato (Pistoia), la Galleria civica d’arte contemporanea di Modena. Dai primi anni Novanta ha sviluppato un autonomo percorso di ricerca artistica, presentato in mostre collettive e personali sia in Italia che all’estero e in varie pubblicazioni.