ENIGMA PINOCCHIO. DA GIACOMETTI A LACHAPELLE @ Villa Bardini: il segreto dell’ispirazione

Nel teatro delle meraviglie di Villa Bardini, Lucia Fiaschi ha curato una mostra d’arte contemporanea di altissimo livello, portando capolavori mai visti a Firenze, una selezione di ben 60 “pinocchi”, da Giacometti a La Chapelle. Si tratta di artisti che per un periodo breve o lungo han fatto di questo enigma il segno della propria ricerca. Enigma sì, e in quanto tale incessantemente fertile. Com’ha fatto il Pinocchio fiorentinissimo creato da Collodi nell’Ottocento a volare e cavalcare fino a noi sempre più vivo, incantando il mondo intero?

Innanzitutto fuggendo dal ‘padre’, disobbedendogli, proprio come nel libro, fino a saltar fuori dalle pagine stesse. Pinocchio fugge ed è sfuggente, per questo anima l’immaginario di ognuno di noi. Questa figura ambigua e indefinibile, con la sua potenza onirica e simbolica, ha interpretato le contraddizioni del Novecento e suscitato ispirazione e riflessioni di moltissimi artisti. Possiamo dire che la nascita di Pinocchio è metafora stessa dell’atto creativo e come l’ispirazione si fa cogliere solo restando fuori dalla presa. È la sua eccedenza e molteplicità a creare un infinitum di associazioni, riletture e proposte. Il suo naso rappresenta una diversità irriducibile, un segno indomato, carico di solitudine e insolenza.

La curatrice Lucia Fiaschi ha inseguito con grande originalità questa figura metamorfica per eccellenza, dividendo la mostra in 7 dimensioni tematiche, dedicate appunto a tutto ciò che è e non è.

(NON) E’ UN RE

Venturino Venturi – artista chiave di questo percorso – con L’uomo nell’ulivo (1983) ci mostra chiaramente la provenienza di Pinocchio da un albero e crea un Pinocchio disarmato, a braccia aperte, che si fa offerta in un misto di stupore e resa al sentire. Una nudità cristica senza chiodi e senza croce. Fu Venturi il primo, quando vinse il concorso per il parco a Collodi nel 1953, a far sgambettare Pinocchio fuori dalle pagine. Da quell’anno non apparterrà più né al libro né al suo autore, da quell’anno Pinocchio sta camminando per le strade del mondo. Ed è ancora albero con Tim Rollins & K.O.S. (1992), stavolta solo un tronco che da terra ci guarda con occhi indagatori. L’artista Danilo Alessandro con No more fakes mette il volto di Pinocchio in una sala chirurgica. Nella foto di ‘assemblaggio’ si addentra nel nesso oggetto-creatura. Il naso lungo sta per essere amputato e sostituito con quello di un uomo. Passaggio cruciale, snaturante, che riflette con ironia l’attuale tendenza alla ‘normalizzazione’. Oliviero Toscani (1991) ne coglie la corsa irrefrenabile e vitale moltiplicandola in 5 Pinocchi di legno dall’identico movimento e dai diversi colori del genere umano.

(NON) E’ UN BURATTINO

Infatti non ha fili, ma non è neanche un automa, non ha meccanismi interni a dar lui movimenti, e mentre guardiamo la versione cyborg di Traquandi (2012) a dirne la giocosità con i pattini ai piedi, passiamo alle geometrie leggere e fantasiose di Munari. Pinocchio è animato dal soffio della vita e assomiglia alla Macchina inutile (1934-35) di Munari che immortala l’infanzia come gioco di colori esposto all’aria vibrante. Lo incontriamo poeticamente in un volo impigliato, col naso ficcato in una sedia, nell’opera Ostinazione (2015) di Gionata Francesconi, grande maestro del carnevale di Viareggio. Ritroviamo Venturino Venturi in una ‘semplificazione’ assoluta, quasi espressionista (1953). L’autore esaspera finezza e lunghezze per mostrarci una tensione verso l’alto e il necessario bilanciamento con un braccio attirato verso il basso. Cielo e terra come sue e nostre radici.

(NON) E’ UN UOMO

Ma l’umanità intera esce dalla sua pasta secondo Benedetto Croce. Pinocchio sente fortemente, attraversato dalla precarietà, impregnato di vita-morte. Siamo calamitati da un frame in loop, in cui Carmelo Bene dalle sue profondità si toglie il naso di cartapesta, quasi in dialogo con un ritratto fotografico di Ontani (1972) che inquadra un giovane di profilo con una piega amara della bocca. Il giovane indossa i “panni” di Pinocchio: cappello, colletto largo e naso di carta bianca. Dandoci il senso di un’irrealtà ambivalente, che attira leggerezza e ostilità. Mentre Ciroli (1998) ne fa una fragilissima creatura in assurdo equilibrio su un trespolo e in completo malinconico isolamento.

(NON) E’ MORTO

Come nel libro, in cui l’impiccagione non può ucciderlo. Giacometti, che ha sempre lavorato sullo scheletro, immagine della morte secca, nel suo disegno (1938) fa nascere un naso dal teschio. Idea ripresa da Barcelò con il suo Pinocchio mort (1998). E allora la morte non è morte, finché c’è un naso che si ostina a esser vivo. Di Guillaume Paris incontriamo due installazioni video. Lavora in entrambe su Pinocchio annegato. Nel frame disneyano intitolato Fountain (1994) Pinocchio è riverso di schiena e l’acqua scorre comunque. Nel video più articolato (2008), tra formazioni rocciose su fluorescenze liquide d’albori e apocalissi, ci si avvicina a una massa che si rivela il corpo annegato ancora visto di schiena. Un annegamento che resterà tale senza soccorsi, e che rispecchia l’indifferenza ripetuta verso le ingiustizie in corso. Cattelan – aggiunge Lucia Fiaschi – si ispirò a Paris quando mise il fantoccio di Pinocchio affogato nella fontana di Guggenheim col titolo Daddy Daddy, insistendo sul richiamo inascoltato. La curatrice ci fa sapere che occorsero ben 6 mesi di lavoro per arrivare al Pinocchio rotondetto e tirolese della Disney. Decisamente sofferente, lacerato e quindi tutt’altro che morto in Liar (1989) di Marks, un’opera estrema, dai tratti espressionisti.

(NON) E’ PINOCCHIO

Si presta a ogni manipolazione ed effigie. Motivo parodico, irriverente e provocatorio si presenta su scene complesse della contemporaneità o al posto di personaggi aberranti della storia. In un’inquietante installazione video di McCarthy (1994) si fa largo la distruttività del paese dei balocchi, con un Pinocchio fagocitante, sterile, nell’orrore grottesco della bulimia occidentale. De Molfetta fa un Pinocchio Hitler (2013), ridicolizzando l’atroce onnipotenza del dittatore con il suo sguardo spalancato su un uccellino in punta di naso. Havadtoy attraverso Pinocchio attacca Stalin (2016).

(NON) E’ UNA MASCHERA

Non è un personaggio della Commedia dell’Arte, l’abbiamo visto finora nelle sue variazioni in stile di Uno, nessuno e centomila, ma quanta verità c’è in ogni maschera, basta ammirare quelle di Venturi (1981); la superficie nasconde un’essenza di noi che brucia dietro. La maschera nascondendo rivela. Bellissima l’opera di LaChapelle (1995) in cui si coglie l’enigma della pluralità Bowie, un artista che divenne ciò che immaginava di poter divenire. Un Pinocchio sublime.

(NON) E’ UN BAMBINO

Nessuno digerì quella trasformazione definitiva ed educativa che troviamo nelle ultime pagine del capolavoro di Collodi. Eppure Pinocchio allude all’infanzia come luogo di immaginazione, energia e possibilità infinite. Ci sono due opere di Havadtoy, in cui la testura consiste in pizzi all’uncinetto, molto usati in Ungheria, originariamente per coprire i volti dei morti. Nella prima Pinocchio ha già il libro sulle gambe, ma dal suo volto non scompare il naso con cui si distingue. In Sitting Pinocchio (2017) sfiora il passaggio con il bambino accentuandone una delicatezza burrosa di stupore. Ben diversa l’interpretazione di Ceroli (2001), che rappresenta l’attesa del passaggio con angoscia come l’avvento di una punizione indesiderata. Il suo Pinocchio infatti tiene la testa tra le mani.  

Nel fantastico tragitto della mostra ‘entriamo’ dentro un divertissement di proiezione che crea a chi passa il naso di Pinocchio. La nostra faccia con il suo naso. Un bellissimo regalo d’appartenenza. Ibrido tramite di passaggio, varco sull’impossibile, confine tra mondi. E proprio per questa fitta selva immaginifica che incarna, per tutto ciò che è e al tempo stesso non è, che tutti noi abbiamo la grazia di sentirci Pinocchio, di riconoscere la sua inafferrabilità feconda, in quell’eccessivo naso bizzarro,  in quelle gambe incerte e mai ferme che stanno tra terra e cielo in nome di un irriducibilità creaturale, sacra, che non si fa imbrigliare e gioca al rilancio. Pinocchio senza frontiere e senza passaporto, ha la forza di un’origine di viscere e aria, che resterà ispirazione per le nostre metamorfosi. E questa diversità insopprimibile, quest’esubero di vita sempre sull’orlo è lingua universale e senza tempo.

 

INFO

La mostra Enigma Pinocchio. Da Giacometti a LaChapelle

è aperta dal 22 ottobre 2019 al 22 marzo 2020.

 

Villa Bardini

Costa San Giorgio, 2-4

Firenze

 

Da martedì a domenica

10.00 – 19.00

Ultimo ingresso ore 18.00

Chiuso i lunedì feriali

 

+39 055 200 662 33

eventi@villabardini.it

Sitoweb

BIGLIETTI

Intero        €10

Ridotto    €5

 

Ingresso gratuito a Villa Bardini nei seguenti giorni:

1, 2 e 3 novembre26 ottobre morte di Collodi

24 novembre nascita di Collodi

8 dicembre Festività Immacolata

26 dicembre Santo Stefano

5 e 6 gennaio14 febbraio8 marzo 

19 marzo festa del papà

21 marzo, ultimo sabato di apertura mostra

 

Visite guidate

Ogni sabato e ogni domenica alle 16.30 e alle 17.30 sarà possibile visitare la mostra  accompagnati da una guida specializzata (costo: gratis, compreso nel biglietto) con prenotazione entro le ore 17.00 del venerdì precedente. Fino ad esaurimento posti presentandosi il giorno stesso della visita guidata. Prenotare scrivendo a eventi@villabardini.it

 

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