Nel foyer del Teatro Trastevere, dal 6 all’11 marzo, è stata ospitata la mostra pittorica di Giovanni Palmieri, curata da Elena Costa, organizzata da Andrea Alessio Cavarretta.
La pittura di Giovanni Palmieri non vuole ricadere in facili catalogazioni, rifugge ed eccede l’apposizione di etichette e lo afferma chiaramente nelle tre opere RIVERBERO, ORIZZONTE e COUTURE, nelle quali le cornici hanno forme e dimensioni diverse rispetto alle tele a cui sono applicate. I delicati colori e le linee sfuggenti e oniriche non si lasciano intrappolare in caselle predefinite e lasciano libere di fluire le emozioni dell’osservatore senza indirizzarle. Sarà chi guarda a fornire di senso l’opera, o piuttosto a scoprirne il senso dentro se stesso, in un gioco di vicendevoli rimandi tra la propria individualità e il riflesso che trae dal quadro, come se si trattasse di uno specchio. Questo gioco di riflessi è ben espresso dall’opera REFLECTITUR VERUM, in cui è proprio uno specchio a essere rappresentato, ma nero, oscuro, come i meandri dell’interiorità di ognuno, come un fondo sconosciuto, dove la luce della conoscenza fa fatica a penetrare. Lo specchio, con l’elegante cornice dorata dipinta intorno, rimanda anche alla vanità, a un tipico vezzo culturalmente associato alla femminilità, che è il tema comune a tutte le opere esposte, evocato nelle sue diverse sfaccettature. L’elemento della forza e della determinazione delle donne è affrontato nelle due opere ispirate all’antico alfabeto germanico: le rune BJARKA e TYR. In queste si esprimono gli aspetti guerrieri, coraggiosi, ribelli dell’animo femminile, resi nel loro contrasto con la gentilezza e la delicatezza, rappresentate dalle linee morbide dipinte su quelle spigolose delle rune. Le due piccole tele sono applicate su un tessuto scuro damascato, deciso e raffinato al tempo stesso, all’interno di cornici di legno lavorato, neanche stavolta coincidenti con la forma dei dipinti. L’opera GLICINE NOTTURNO, con i suoi colori tenui, fa pensare a un ricordo, un sogno a occhi aperti intravisto attraverso i petali del fiore, e fa venire in mente brani musicali come le Gymnopédies di Erik Satie. Sono la sensibilità e la fragilità femminile a spiccare in questo quadro. TYCHE, la dea greca della fortuna, è il soggetto dell’opera scelta per la locandina dell’esposizione. Su un fondo azzurro, nelle linee sinuose, stilizzate in bianco, argento e blu, si intuisce la silhouette della dea, imperscrutabile e misteriosa, col capo chino, pronta a decidere le sorti degli uomini, ma senza che questi possano indovinare cosa ha deciso di riservare loro. Come un’immagine appena intravista, i cui contorni non diventano mai netti, la figura mitologica si staglia, tuttavia, su un cielo sereno, facendo presagire un futuro ricco di eventi favorevoli.
Le otto opere esposte (otto, come l’8 marzo e come il simbolo dell’infinito messo in verticale, infinito come un mondo di suggestioni rarefatte che rifiuta le definizioni troppo precise) sono un omaggio alla donna nei diversi aspetti che le sono propri o che le sono stati attribuiti nella nostra cultura. Il tocco dell’artista è leggero e delicato e, anche quando desidera affrontare gli aspetti più aggressivi, questi vengono bilanciati dalla presenza di linee flessuose che ne addolciscono l’impatto. Insieme ad Andrea Alessio Cavarretta, l’organizzatore dell’esposizione, Giovanni Palmieri è il fondatore della corrente culturale Kirolandia, che ha l’intento di «unire artisti, acculturati e sapienti» in una collaborazione comune, sotto il segno della libertà di espressione.