Prima una donna, dal difficile passato, o prima un’artista? Questa è la domanda che mi sono sempre posta nei confronti della pittrice simbolo dell’arte femminile del ‘600. Questa è anche la domanda che i curatori della mostra, Nicola Spinosa in primis il vero ideatore, Francesca Baldassari e Judith Mann, che si sono occupate della sezione fiorentina e di quella romana, si sono fatti con Artemisia Gentileschi e il suo tempo.
Le risposte si trovano nella splendida esposizione che va ad indagare la vita artistica e personale della pittrice.Nata donna, per questo relegata a una vita che avrebbe dovuto essere di contorno a una qualsiasi figura maschile, padre o marito, ma al contempo figlia di un artista Orazio, importante nella sua epoca che inevitabilmente influisce sulla sua formazione; due aspetti, e un carattere da sempre deciso e combattivo, faranno di lei la figura che conosciamo di artista che cerca di affermarsi in tutti i modi per le sue capacità aldilà del suo genere.
Figlia che supera la fama di un padre, prima nel 1616 a essere accettata nell'Accademia delle Arti del Disegno, gira le più importanti corti italiane affermandosi in un mondo artisticamente maschile: si costruisce da sola, con lo studio, diventando donna colta, abile nelle arti, nella musica, nelle scienze, frequenta la nobiltà e avrà un ruolo primario nelle cerchie influenti, tra cui Galileo Galilei e soprattutto Michelangelo Buonarroti il giovane, suo mentore a Firenze.
Toppo spesso si è parlato di lei solo per la sua vicenda personale e per il processo che ne seguì, quasi come se la sua vita artistica fosse stata una “rivalsa” o un “indennizzo” dovuto per il torto subito. Il suo dramma, e il suo processo, non sono altro che figli di un’epoca purtroppo non ancora così lontana, caparbiamente voluto dal padre, principalmente per il rifiuto di un “matrimonio riparatore” e tenacemente difeso da lei per la difesa della sua persona; l’errore e il limite sono sempre stati quelli di vederla solo un’artista simbolo della lotta femminile, assolutamente giustificabile, mentre dentro di lei c’è sempre stata, prima e dopo, una pittrice.
La mostra si divide in tre periodi artistici principali corrispondenti ai suoi soggiorni e produzione di Roma, Firenze e Napoli, con una piccola parentesi a Londra, dove si recò per accudire al padre morente. Più di 90 opere in mostra, di cui più di 20 di Artemisia dal 1610 al 1652, provenienti da 80 referenze differenti (come il Metropolitan di New York, Capodimonte di Napoli, la Galleria Palatina di Palazzo Pitti a Firenze e la Narodní Galerie di Praga), mettono in relazione l’artista con le figure dell’epoca con cui entrò in contatto, quali Guido Cagnacci, Simon Vouet, Giovanni Baglione o Jusepe de Ribera, Francesco Guarino, Massimo Stanzione, Onofrio Palumbo e Bernardo Cavallino nel periodo di produzione napoletana.
Nell’epoca moderna, in cui giustamente le mostre si avvalgono delle moderne tecnologie e nuovi approcci, ci troviamo di fronte ad un’esposizione di “una volta” dove senza suppellettili sono i dipinti a parlare e farci provare “emozioni”.
Pittrice drammatica e teatrale, riferisce nei suoi dipinti le espressioni esasperate di una forma indubbiamente caravaggesca, nella sua formazione è sicuramente entrata in contatto con il genio, portandola nell’esaltazione della figura femminile
In un periodo storico della controriforma dove si andava a mettere i “brachettoni” ai corpi nudi, rompe gli schemi di donne riccamente vestite, compite e innocenti, con lo studio dei nudi femminili, L’esaltazione dei corpi ma soprattutto i suoi volti sono il tratto distintivo: dal suo Autoritratto come suonatrice di liuto, 1617-18, alle tre versioni di Cleopatra, tra il 1630 e 1645, messe a confronto nella piccola sala; quello che colpisce sono sempre questi visi, molto dolci e femminili, che essi siano pensierosi, mistici o realistici, ma con uno sguardo, una postura e una sicurezza che sembrano lo specchio del suo essere.
Il piccolo dipinto di Danae, 1612, racchiude questa delicatezza, sensualità e drammaticità, con la leggera pioggia d’oro che accarezza il corpo languido e abbandonato della donna greca, non vittima ma consapevole del suo destino.
La mostra sia apre e si chiude con il dipinto simbolo di Artemisia Susanna e i vecchioni, nel primo del 1610 ed l’ultimo del 1652, ultimo di una serie di tre.
La stessa figura nuda, malamente coperta da un drappo, stesso braccio teso a respingere i due intrusi, stesso gesto del più anziano di questi che le intima il silenzio: ma il volto di Susanna è il fulcro, non si ritrae delicatamente o pacatamente, ma manifesta realisticamente il disgusto e l’indignazione che ogni donna proverebbe nella sua situazione.
Nel nuovo allestimento per mostre temporanee di Palazzo Braschi, il gruppo di lavoro al femminile di Artemsia Group riesce di nuovo a porre l’accento su un personaggio femminile storicamente ed artisticamente fondamentale, non solo "perchè donna ma anche perchè donna".
Foto Credit:
Foto copertina tratta dalla conferenza stampa
Foto 1: Artemisia Gentileschi Autoritratto come suonatrice di liuto, 1617-18 ca. Olio su tela, 65,5×50,2 cm Hartford, Wadsworth Atheneum Museum of Art CT, Charles H. Schwartz Endowment Fund ©Allen Phillips/Wadsworth Atheneum L’opera sarà presente in mostra fino a febbraio
Foto 2: Artemisia Gentileschi Danae, 1612 ca. Olio su rame, 40,5×52,5 cm Saint Louis Art Museum Image courtesy Saint Louis Art Museum
Foto 3 : Artemisia Gentileschi, Onofrio Palumbo (o Palomba) Susanna e i vecchioni , 1652 Olio su tela, 200,3×225,6 cm Bologna, Collezioni della Pinacoteca Nazionale, Polo Museale dell’Emilia Romagna Su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo – Polo Museale dell’Emilia Romagna
Info:
Artemisia Gentileschi e il suo tempo
30/11/2016 – 07/05/2017
Museo di Roma, sale espositive del primo piano
Dal martedì alla domenica ore 10.00 – 19.00.
24 e 31 dicembre ore 10.00-14.00
Giorni di chiusura: Lunedì, 25 dicembre, 1 gennaio, 1 maggio
La biglietteria chiude un'ora prima
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