ARCADIA E APOCALISSE. Paesaggi italiani in 150 anni di arte, fotografia, video e installazioni @ Palazzo Pretorio, Pontedera

La mostra allestita a Pontedera fino al 26 aprile offre ai visitatori l’opportunità di riflettere sul cambiamento di percezione del paesaggio italiano negli ultimi 150 anni. Da una iniziale idealizzazione nei toni dell’Arcadia, l’arte è arrivata oggi alla percezione di una prossima Apocalisse.
L’intento dei curatori, Daniela Fonti e Filippo Bacci di Capaci, è pertanto in linea con la riflessione filosofico-ecologica degli ultimi decenni che si interroga sul futuro dell’Antropocene. Mentre nell’Ottocento l’arte riporta una visione ancora bucolica della natura, dando vita a creazioni incentrate sull’idilliaca convivenza tra campagna e città, ai giorni nostri si fa invece sempre più pressante l’interrogativo sulle conseguenze dell’azione umana sulla natura. Pure l’arte si sente infatti chiamata a riflettere sulla possibile sopravvivenza della nostra specie in un ambiente che, in mancanza di limiti etici, riecheggia sempre più i toni della città di Dite
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ARCADIA – Il percorso della mostra al PALP Palazzo Pretorio Pontedera

La mostra offre quindi un percorso che segue l’evolversi della rappresentazione del paesaggio, servendosi via via di mezzi diversi e dai contenuti sempre più polemici. Dalla pittura alla fotografia, dal video all’installazione, il paesaggio emerge come elemento imprescindibile della riflessione estetica che ha caratterizzata buona parte della produzione artistica in epoca moderna. Il concetto stesso di paesaggio nasce tardi, perché nell’età classica e in quella medievale l’arte è tesa alla rappresentazione di corpi umani, siano di soggetti religiosi o di personaggi trapassati. Lo scenario alle spalle degli individui ritratti ha lo scopo precipuo di impreziosire l’immagine, al punto che lo stile gotico predilige gli sfondi dorati a quelli realistici. Nonostante ciò, letterati e filosofi di epoca pre-moderna considerano comunque il paesaggio un’espressione del loro stato d’animo, come testimonia l’ascesa al Monte Ventoso di Petrarca quale metafora della sua crisi esistenziale.

Soltanto nel XVI secolo in Francia, presso la scuola di Fontainebleau, si avverte l’esigenza di coniare il termine paysager per indicare la pittura di pays, paesi, così da distinguerla da quella dei ritratti di persone. In seguito, con la diffusione della rivoluzione industriale, il fenomeno dell’inurbamento e la conseguente costruzione dei quartieri popolari spingono a una riflessione autonoma sul senso e l’essenza del paesaggio, ed è qui che comincia il percorso della mostra. Le prime sale sono dedicate a quei pittori impegnati nella ricerca di luoghi ancora selvaggi, dove la natura incontaminata possa offrire all’osservatore quell’appagamento estetico che riecheggia i dialoghi di Teocrito e Virgilio. La Pineta Maremmana di Fattori trasmette quel calore dell’estate assolata in una terra vergine, mentre il divisionista Vittore Grubicy de Dragon nella veduta Verso il lago si richiama alle stampe giapponesi, ma anche al Mont Sainte-Victorie di Cézanne.

La Città e lo sguardo idealizzante di Boldini, Previsti, Balla e Crupi

Nello stesso periodo, persino la città è trasfigurata da questo sguardo idealizzante: in À la campagne Giovanni Boldini, smessi i panni del macchiaiolo di Villa Falconer perché trasferitosi da poco nella Ville Lumière, di cui diverrà probabilmente il più celebre ritrattista, indugia nelle fresche pennellate di una famiglia immersa in un tripudio di verzura, come se Parigi non fosse già una metropoli internazionale. Con Meriggio in Liguria anche Gaetano Previati testimonia la persistenza ai bordi della città di un’epoca d’oro, dove alberi da frutto non temono di avvicinarsi a centri sempre più densamente abitati. Pochi anni dopo Montale individuerà proprio nei limoni di Previati le vestigia del rapporto un tempo metafisico tra l’uomo e il paesaggio agreste. Nella Città eterna Giacomo Balla ritrae il Dittico di Villa Borghese come se avvertisse l’esigenza di un ritorno al paganesimo campestre, proprio mentre Roma protegge i suoi parchi dalla cementificazione edilizia. Intanto in Sicilia Giovanni Crupi fotografa il giardino botanico di Palermo con lo sguardo dell’avventuriero alla ricerca del paesaggio esotico di una foresta tropicale.

L'esperienza del Futurismo di Benedetta Cappa e Cambellotti

Con l’avvento del nuovo secolo si avvicina la guerra, preceduta e seguita dall’esperienza del Futurismo. Il movimento, nato a Parigi nel 1909, in Italia lega il suo destino all’ascesa del fascismo, con il quale condivide l’entusiasmo per la tecnica e il culto della velocità. Nasce un nuovo modo di intendere il paesaggio, che abbandona i tratti nostalgici della natura pre-industriale per subire esso stesso una traduzione in linee geometriche curve o spezzate, ma sempre intese come metafora di un cambiamento inarrestabile. Benedetta Cappa, allieva di Balla e moglie di Marinetti, è presente in mostra con Velocità di motoscafo, opera del 1922 che richiama le due Linee forza mare del maestro, ma allo stesso tempo le supera per la visione aerea che sembra anticipare il Manifesto dell’aeropittura. L’artista, una delle poche donne in mostra, sintetizza l’aria, il mare, la natura e l’ambiente inseguendo un alito di movimento a spirale che sospinge lo sguardo verso un orizzonte di libertà. La sua capacità di astrazione mantiene nell’opera il contatto con l’elemento marino e, nel contempo, l’aspirazione a una creatività indipendente da quelli che erano i modelli imperanti all’epoca.

Allo stesso Futurismo la propaganda fascista preferisce negli anni Trenta un ritorno a una natura antropizzata per l’intervento delle bonifiche operate dal fascismo: si tratta ovviamente di un’operazione ideologica e quindi politica, il cui messaggio rifugge dall’eccessiva geometrizzazione per divenire comprensibile al popolo fascista. Duilio Cambellotti ne è un chiaro esempio con La redenzione dell’Agro, dove il futurismo si trasforma nello sforzo mitopoietico del contadino e delle sue proiezioni. Si tratta di tempere su cartone del 1934 per la decorazione del Palazzo del Governo di Littoria. Il tema è l’eroico sacrificio dei contadini italiani che convogliano le acque al mare per restituire la terra a chi la lavorerà, nel tentativo politico di indirizzare i forti flussi migratori di quegli anni dall’estero alla stessa Italia.

La Guerra e la Città: il paesaggio e lo sguardo sofferente dell'artista

Fra l’arte ideologica del Ventennio e la recente denuncia delle derive dell’Antropocene vi è un evento che ha cambiato radicalmente la percezione del paesaggio: la Seconda guerra mondiale. La devastazione dei bombardamenti aerei si riflette in questi anni non solo nella Demolizione di Afro Basaldella, ma anche nei corpi accatastati in modo confuso sulla Spiaggia deserta di Fausto Pirandello. Il paesaggio torna a ricoprire il ruolo di specchio dell’anima sofferente dell’artista, ma in una veste più ampia di quanto fosse accaduto in precedenza: nel caos della Stanza – Gli anni di orrore di Ferruccio Ferrazzi si scorgono richiami a Guernica per i rimandi simbolici, ma anche all’incomunicabilità tra le parti che rievoca l’assordante silenzio dei paesaggi di Giorgio De Chirico. La foto aerea riprodotta sul pavimento della sala offre all’osservatore l’illusione di sperimentare quei voli della morte di cui le opere alle pareti rappresentano frammenti di esplosioni.

Si arriva così alle ultime sale, dagli anni Sessanta ai giorni nostri, dove la fotografia prevale quale strumento di comunicazione e denuncia: è qui che le città industrializzate di Gabriele Basilico dialogano con il collage Supesuperface – An alternative model for life on Earth del gruppo Superstudio. In entrambi i casi la fine degli anni Settanta è vissuta come riflessione sulle condizioni di vita nella città, luogo non più ritenuto adatto alle esigenze sociali dell’umanità. La metropoli è diventata ora una sorta di Frankenstein, mostro creato dall’uomo ma a esso ribellatosi, perché distante dalla rimpianta Arcadia sempre più vicino a una prossima Apocalisse. A questo punto si inserisce la riflessione di Luca Campigotto che, con Marghera, ricorda l’origine del benessere odierno nello sfruttamento di terrificanti non-luoghi, nati dalla fusione di Metropolis con Blade runner. Questo paesaggio distopico conduce all’antropologia molecolare di Michelangelo Pistoletto. In Metamorfosi (1976-2016) due cumuli di stracci, uno bianco e uno colorato, si contrappongono separati da uno specchio. Se lo Zeitgeist costringe l’arte a riflettere su tematiche ambientali, Pistoletto impone all’osservatore di diventare egli stesso parte dell’opera in virtù dello specchio, che moltiplica gli oggetti nel momento stesso in cui ne esclude la possibilità di comunicazione. Se i media condannano spesso a una riflessione passiva, l’arte concettuale pretende una percezione attiva che testimoni la deflagrazione del paesaggio in immagini apocalittiche, a cui ciascuno è chiamato oggi a rispondere.

 

INFORMAZIONI

ARCADIA E APOCALISSE
Paesaggi italiani in 150 anni di arte, fotografia, video e installazioni

Ideazione e cura di Daniela Fonti e Filippo Bacci di Capaci

Dall’8 dicembre 2019 al 26 aprile 2020

PALP Palazzo Pretorio Pontedera
Piazza Curtatone e Montanara, Pontedera (PI)

Orario mostra 

da martedì a venerdì 10-19 

sabato, domenica e festivi 10-20 

lunedì chiuso

Biglietti

Intero 8 euro 

Ridotto 6 euro

Dipendenti Piaggio, Soci FAI, Possessori tessera Feltrinelli, Soci Touring Club, Over 65, Studenti universitari fino a 25 anni, Soci Unicoop Firenze, Accompagnatori disabili, Insegnanti, Gruppi di almeno 10 persone.

Ridotto 3 euro

Bambini e ragazzi dai 6 ai 18 anni

Gratuito

Bambini fino ai 5 anni, un accompagnatore per gruppo, Insegnanti che accompagnano scolaresche, Giornalisti con tesserino, Disabili.

 

Prenotazione e prevendita
Tel. +39 0587 468487 – +39 331 1542017
e-mail: info@pontederaperlacultura.it 

www.palp-pontedera.it

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