Dopo la mostra che lo vide protagonista nella capitale nel 1961 alla Galleria La Barcaccia, primo vero evento che lo consacrò indiscusso artista anche agli occhi del pubblico, Roma torna ad essere protagonista della sua storia con una personale al Complesso Del Vittoriano che raccoglie quasi 100 tra le sue opere con il solo nome di Antonio Ligabue (1899-1965).
Artista difficile da comprendere, difficile da trattare, difficile da condividere, dal passato complesso che lo ha portato ad esperienze traumatiche che lo hanno per sempre segnato: le stesse esperienze ne hanno fatto di lui anche un visionario, che ha visto aldilà degli occhi di un semplice uomo, trovando nell’arte l’unico modo per esprimere il suo io interiore. Questo voleva più di tutto trasmettere, il suo essere uomo e artista, oltre la sua “malattia”.
Le quasi cento opere in mostra, la maggior parte provenienti da collezioni private di fatto inedita ai più, raccontano la sua vita artistica inevitabilmente legata alla sua vita drammatica: è divisa in tre sezioni cronologiche che corrispondono a tre periodi storici della sua produzione artistica.
La sua particolarità era di dipingere su tavole di faesite (legno), scelta non così usuale che incide sulla qualità del dipinto e necessita di una tecnica di lavorazione diversa e più complessa.
Questo a sfatare l’idea di lui che lo vede come un artista naif senza alcuna preparazione, un visionario che dipinge solo d’istinto; in realtà il suo tratto distintivo, seppur ingenuo e primitivo, è l’elaborazione di approfonditi studi accademici che lo portano alla realizzazione di opere esasperatamente espressioniste.
La prima sezione ci racconta del suo inizio da autodidatta, della sua innata dote pittorica ancora acerba, del suo istinto decorativo nonostante non conoscesse bene l’uso degli strumenti in suo possesso: sebbene le opere risultino imperfette, non propriamente riconoscibili nel suo segno grafico è già presente la sua vena comunicativa, che sembra far parte di lui da sempre aldilà della tecnica e dello studio.
Di questo periodo il bellissimo “Leopardo che assale il Cigno” (1935-36), ancora poco definito nei particolari, dai colori tenui e delicati, lontano da quei toni imponenti delle opere della maturità, ma straordinariamente espressivo in questa contrapposizione tra la delicatezza della tecnica e la durezza del soggetto.
La seconda sezione ci racconta del suo periodo “principale”, in cui ormai ha incontrato Mazzacurati che ha fatto di lui tecnicamente un pittore. La materia e il colore non hanno più segreti per lui e il suo studio è spasmodico, dipinge sempre soggetti simili, che essi siano animali esotici e feroci, o docili ovini che rappresentano il lato più rassicurante della sua esistenza, in una ricerca quasi maniacale della perfezione tecnica ed emozionale. Il ripetersi di soggetti simili, quasi in serie, studiando ogni particolare più nascosto di un manto leopardato, o delle squame di un serpente, diventano un mondo ordinato e controllato in cui rifugiarsi.
Infine l’ultima sezione, con il racconto della maturità, della consapevolezza del suo difficile passato che lo stava portando ad una inevitabile fine, con l’occhio critico e cinico di raffigurarsi negli autoritratti come in una serie di foto che vanno a “fotografare” il declino del suo corpo.
L’allestimento è particolarmente curato in ogni dettaglio, come l’attenzione al colore verde, il suo colore preferito, che ci accompagna nelle sale; si arricchisce di una sezione di schizzi, disegni, caricature e piccole sculture in bronzo, raffiguranti sempre animali predatori, piccole statue che emanano una forza innata. Animali costretti ad essere feroci e violenti per sopravvivere,per non farsi sopraffare dal nemico, proprio come lui.
Ligabue è uno di quegli artisti in cui la sua figura pittorica non si può separare in alcun modo dalla sua vita personale, è proprio da quel tormento che nasce ogni sua creazione.
Il suo Tigre Reale (1941) può considerarsi in questo il manifesto della sua carriera: la tigre, animale simbolo della sua produzione, raffigurata a china e pastelli sulla carta intestata dell’Ospedale Psichiatrico di Reggio Emilia in cui era ricoverato, tutta la sua vita racchiusa in una immagine.
Foto Credit:
Foto copertina tratta dalla presentazione stampa
Foto 1: Antonio Ligabue Autoritratto con spaventapasseri s.d. (1955-1956) Olio su tavola di faesite, cm. 70×50 Collezione privata
Foto 2: Antonio Ligabue Vedova nera con volatile s.d. (1955-1956) Olio su tavola di faesite, 53×68,5 cm Collezione privata
Foto 3:Antonio Ligabue Autoritratto con berretto da fantino s.d. (1962) Matita su carta, 37,5×30 cm Collezione privata
info:
ANTONIO LIGABUE
11-11-2016/08-01-2017
COMPLESSO DEL VITTORIANO Ala Brasini
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Sotto l’egida dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano
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